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Le istituzioni politiche sottovalutano il rischio default del sistema calcio

(di Marcel Vulpis) – Ciò che emerge con una certa gravità, in questa fase di attesa per le sorti future del campionato, è la totale sottovalutazione (da parte chi è chiamato a decidere in ambito politico) delle perdite “certificate” che l’industria del calcio subirà per un eventuale stop definitivo.

Secondo i dati analizzati da KPMG (società di consulenza strategica), la svalutazione del parco giocatori della Serie A (sui valori “rosa” a febbraio 2020) determinerà una decrescita percentuale nella misura del 26,1% (si passerà da 5,7 a 4,2 miliardi di euro), in caso di chiusura della stagione.

Già in questa fase di lockdown il mondo del pallone ha lasciato sul terreno più di 986 milioni di euro (-17,6% del valore globale). Percentuali che rischiano di generare un effetto domino all’interno del sistema calcio, perché la Serie A è la cassaforte di questo ecosistema sportivo.

Un “valore economico” bruciato, tra l’altro, in poco più di 60 giorni di emergenza sanitaria, e difficilmente recuperabile (nei prossimi mesi) pur ipotizzando una veloceripartenza.

La politica purtroppo non ha messo a fuoco le criticità dello scenario appena descritto. Il tutto, tra l’altro, deve essere contestualizzato considerando lo stato di crisi della nostra economia (entrata per la terza volta in recessione negli ultimi 10 anni). Il Covid-19 sta affossando il Prodotto interno lordo (è l’indice della ricchezza economica di un paese). Ogni settimana di stop delle attività produttive costa lo 0,75% in termini di Pil e la Confindustria stima una caduta cumulata dei primi due trimestri nella misura del 10%, con un rimbalzo tecnico del +3.5% solo nel 2021, a patto che non ci siano nuove chiusure forzate.

Le stime di KPMG, illustrate analiticamente nel report “Football Benchmark”, confermano la crisi profonda dell’industria calcio, soprattutto nel confronto con altri comparti. Per ogni euro perso in media dall’economia nazionale, il sistema calcisticone brucia 2,6.

Numeri da default che impatteranno inizialmente sulla massima serie tricolore, per poi toccare tutte le componenti del calcio professionistico e dilettantistico. Bisogna agire in tempi record per non perdere ulteriore terreno. Le società (non solo quelle di A) hanno bisogno di liquidità e lo stop definitivo del campionato determinerebbe il collasso dell’intero sistema, con conseguenze gravi nei rapporti con le banche (per i livelli di indebitamento raggiunti nel breve e medio periodo), oltre che con i fornitori. Proprio l’indotto sarebbe il primo anello della filiera a spezzarsi senza poter recuperare nei mesi successivi.

Le istituzioni (politiche), chiamate a governare questa difficile emergenza, devono, nei prossimi giorni, dimostrare di aver compreso la gravità del problema appena descitto. L’industria del calcio (la terza del paese per investimenti) deve essere messa in sicurezza, per evitare che la recessione non si trasformi in qualcosa di più grave e ingestibile: ovvero una depressione economica prolungata.

La perdita di valore della Serie A determinerà uno shock di sistema che si ripercuoterà sui campionati minori. La riduzione dei valori economici è prevista in tutte le principali aree dei ricavi: dai diritti tv, alla compravendita dei calciatori, passando per le sponsorizzazioni, botteghino e,, infine per il merchandising.

I campionati di B e C sono legati a filo doppio al sistema della “mutualità”. A fronte di perdite così elevate, sarà molto difficile che la massima serie possa continuare a sostenere la cadetteria (con un “tesoretto” annuo compreso tra i 60 ed i 65 milioni di euro) come ha fatto fino ad oggi. L’eventuale drastico taglio di queste risorse, utilizzate dalla seconda divisione per il finanziamento della gestione corrente, porterebbe molte delle imprese calcistiche a non potersi iscrivere alla prossima stagione. E la Serie B, storicamente, è il vivaio naturale del calcio italiano, non un mero format-cuscinetto all’interno dell’universo professionistico.

Ancora più delicata la situazione della Lega Pro, che riceve poco più di 26 milioni di euro (da redistribuire tra 60 società iscritte). Senza mutualità questo campionato infatti scomparirebbe definitivamente.

 

 

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