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Cruijff: c’è un vuoto assurdo, adesso, nell’area di rigore

(di Massimiliano Morelli*) – Sciagurate graduatorie d’ogni epoca e maledetta voglia di stilar classifiche comparando quelli del passato con quelli di oggi, che si tratti di calciatori, primi ministri, idraulici o prodotti Ogm poco importa, tutto diventa stucchevole quando si cerca d’affogare l’amarcord nel confronto.

Johan Cruijff è stato un genio del calcio, punto e basta. Non può essere paragonato a Pelé e tanto meno a Maradona, figli d’un calcio diverso, di quel football bailado che nulla ha a che vedere con la rivoluzione olandese dettata dall’uomo che diede dignità a un numero, il 14.

Né a un Di Stefano o a chiunque altro. Anche perché se proprio lo si deve accostare a qualcuno, sarebbe meglio affiancargli George Best, sregolatezza assoluta e migliaia di dribbling vissuti fra whisky, donne e piede sull’acceleratore della macchina.

Ecco, fra i tanti che hanno ricordato ieri e oggi Cruijff – e la giornata di ieri ha rappresentato il culmine, da Valdano a Oriali, il tenore della frase di rito è stato monocorde, giusto o sbagliato che sia – Best lo incoronò a modo suo dicendogli “Johan è vero, tu sei il migliore di tutti. Ma solo perché io non ho tempo da perdere”. Ovvio che adesso viene da immaginarli insieme questi due inventori del calcio, dribblomani e geniali, uno rovinato dall’alcol e l’altro dalle sigarette. Quasi a sottolineare che anche un “re del calcio-oppio dei popoli” resta comunque una persona come le altre.

Ricca, ricchissima, attesa ore dai paparazzi per uno scoop da tabloid o da qualche coniglietta di Playboy in cerca di notorietà, comunque uguale agli altri per l’inizio e la fine del cammino terreno. Cruijff può essere considerato una sorta di eroe dei due mondi, un po’ come Garibaldi, profeta nella sua Olanda ed esportatore del calcio totale a Barcellona prima, negli States poi.

E punto di partenza dell’Europeo vinto dall’Olanda nel 1988, e della bella gioventù olandese che ha prodotto campioni da esportare e allenatori geniali, trame di gioco all’avanguardia e finezze stilistiche capaci di rendere ogni gesto immortale.

Se ne è andato via anche lui, togliendo il disturbo alla vigilia dei sessantanove anni, al termine d’una carriera invidiabile e dopo essersi accorto che quelle cicche smorzate nel posacenere sono state fumo negli occhi, pensieri vagabondi e un maledetto cancro. C’è un vuoto assurdo, adesso, nell’area di rigore. E la copertina de LEquipe di questa mattina dal titolo “Era il gioco (del calcio, nda)” è la conferma di questa nostra tesi.

  • giornalista e scrittore romano – da sempre amante dello sport in tutte le sue sfaccettature
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Redazione

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