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Un mese di parole e fango sul caso Tavecchio, per arrivare all’unica soluzione possibile

Il Giornale di oggi ha pubblicato un fondo interessante, ma il pezzo che più mi ha colpito è la parte finale di questo pezzo. Sono tre righe, ma che sintetizzano i mali della stampa (dei media in generale) italiana. Anche nello sport sono “atterrati” metodi di “killeraggio mediatico” (così come ama chiamarli Claudio Lotito) che spesso vediamo nel mondo della politica. 



Nel calcio non si era mai assistito ad un mese di critiche così aggressive nei confronti di un solo soggetto (parliamo chiaramente di Carlo Tavecchio). Una battuta come quella dei “mangia-banane” poteva sì colpire l’interesse o l’attenzione dei cronisti anche un po’ svogliati presenti quel pomeriggio all’assemblea straordinaria della LND, ma, difficilmente, in altri tempi, sarebbe stata il “cerino” per un mese di polemiche ai limiti della “querela a mezzo stampa” (secondo me ampiamente oltrepassati). 



A questo punto veramente il mondo dell’informazione dovrebbe porsi una domanda, e, soprattutto, questa domanda se la dovrebbero porre gli organi di controllo dell’Ordine dei Giornalisti. E’ normale la “persecuzione a mezzo stampa” che ha subito Tavecchio, oggi presidente FIGC, per quasi un mese? Secondo noi no. C’è chiaramente  una linea editoriale ben precisa (direttori che hanno deciso di andare in una direzione e di rimanervi in modo aggressivo fino alla fine). Ma è troppo facile nascondersi dietro il feticcio della linea editoriale. 



Mi sono chiesto in questi giorni che cosa avrei fatto se mi avessero chiesto di scrivere certi pezzi non su Tavecchio, ma di fatto “contro”. E con altrettanta sincerità vi rispondo dicendo che non avrei accettato di scriverli, pur con tutte le conseguenze del caso (visto che di solito i giornalisti sono dipendenti delle testate). Quindi se sbaglia l’editore e il direttore, tutta la filiera è costretta, suo malgrado, a rimanere su quella posizione. 



Ieri a Fiumicino c’era molto imbarazzo tra i colleghi. Alcuni mi hanno detto: “Sai è stata la linea dell’editore…”. E no cari colleghi, c’è anche la dignità professionale e l’amor proprio che può portare a fare dei distinguo (che non sono stati fatti) ed a non accettare di partecipare a questo tiro al piccione nei confronti di una persona, che sì ha sbagliato a proferire quella frase, ma non per questo deve essere necessariamente sottoposta ad una “terapia” di azzeramento umano.



E’ troppo facile oggi nascondersi dietro l’editore e dire “non l’avrei fatto, ma mi ci hanno costretto”. Come appunto ho sentito dire ieri nei corridoi dell’hotel Hilton di Fiumicino. C’è stato anche un collega che mi ha detto a mezza bocca: “E adesso come faccio a chiedergli una one-to-one, dopo tutto quello che gli abbiamo scritto?



Su questo caso, se fossimo in un paese serio, l’ODG nazionale dovrebbe aprire una inchiesta e se fossi io il presidente di quest’ordine volerebbero sospensioni a grappolo, perchè va bene fare cronaca, commentare, approfondire, cercare lo scoop che gli altri non vedono (sempre che ci sia), ma c’è anche un limite, superato il quale si entra semplicemente nello “schifo”. 



Devo essere sincero: mi sono vergognato per voi, perchè come successe oltre due anni fa nel caso di Gianfranco Fini e della casa di Montecarlo, dopo che per una settimana hai raccontato anche quanto paga di luce nel principato, c’è la parola THE END. Se questa parola non viene scritta vuol dire che ci sono degli interessi dietro che portano a riaccendere costantemente il fuoco. In quel mese di agosto l’ex presidente della Camera dei Deputati è stato scarnificato sotto i colpi del killeraggio mediatico e anche in quel caso nessuno ha detto nulla. Si sono tutti nascosti dietro la foglia di fico del diritto di cronaca. 



Ora gli stessi metodi li stiamo iniziando a vedere anche nel calcio e nello sport in generale. E questo non ci piace per niente. Non è questa la democrazia, non è questo il principio base della deontologia professionale del giornalista. Noi dobbiamo raccontare i fatti, non spingere in una direzione o nell’altra a favore di un soggetto o del suo avversario. Non siamo strutture di lobbying. Oggi questo sono i giornali, delle centrali di lobbying. Spesso molti scrivono su dettatura. E questo non va bene, per niente. 



Una cosa è certa: Tavecchio e il suo gruppo di alleati ha vinto anche e comunque non avendo la stampa a favore (praticamente il 99.99 per cento). Cosa vuol dire? Come abbiamo già scritto la stampa ormai non la legge più nessuno. Cari editori della carta stampata, così come pure colleghi di queste testate, state sbagliando e il risveglio da un lato potrebbe essere la chiusura (ormai ne chiudono di giornali uno al mese) o il sussidio di disoccupazione dell’Ordine. Spero sinceramente che non sia questa la vostra ambizione professionale. 
“Infine l’esercito dei media che ha criticato e in gran parte preso posizione decisa contro Tavecchio. Si è aggiunta perfino una tv cheporta danari sonanti, dunque ha interesse a salvaguardare il proprio tesoro. Nel calcio raramente si è vista un’armata giornalistica così compatta, eppure ha perso.Per noi tutti non c’è da stare allegri. I voti hanno pesato più dei titoli e delle parole, come si conviene in democrazia. Però la domanda resta: conta poco la stampa o il nostro pallone è imprigionato in situazioni padrinesche?” (fonte: IlGiornale).

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Marcel Vulpis

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