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Serie A: aumentano i marchi sulle maglie da calcio

(di Marcel Vulpis) – Fedeli alla maglia, e, da alcuni anni, anche agli sponsor. E’ la nuova tendenza delle tifoserie, che hanno sempre vissuto la casacca di gioco come la bandiera, il simbolo iconico di una passione inesauribile per la squadra del cuore. Da un lato i football fan spendono (soprattutto all’estero) in capi di merchandising, dall’altro diventano loro stessi uomini-immagine indossandole, con il marchio di turno ben posizionato, in termini di grafica, sulla divisa.

I supporter del Manchester United (oltre 370 milioni), per esempio, sono i migliori promoter, nel mondo. dell’immagine di Chevrolet, brand automobilistico, che ha pagato 70 milioni di euro annui non solo per apparire all’Old Trafford o in tv, ma per diventare parte della vita dei tifosi del club.

Se un tempo apporre un marchio commerciale era vietato (come è successo in Italia fino alla prima metà degli anni Settanta) o poco opportuno, perchè i tifosi, per molti lustri, hanno ritenuto che lo sponsor potesse “sporcare” l’immagine del club; oggi è una modalità commerciale, oltre che comunicazionale, accettata dall’intera filiera del calcio.

Per gli addetti ai lavori la ragione è da cercare chiaramente nel ritorno economico, per i fan, le squadre possono, attraverso queste operazioni, disporre di liquidità strategiche, soprattutto in chiave di calciomercato. Lo sponsor quindi aiuta a vincere o almeno a far sognare.

La “rivoluzione” copernicana nel 2007/8

Fino ai primi anni Duemila, i club italiani non potevano sfruttare più di un marchio commerciale, oltre quello tecnico (fornitore e produttore delle divise). Con il comunicato Figc dell’8 agosto 2007 (articolo 6 – “Pubblicità dello sponsor“) si è arrivati ad una regolamentazione definitiva del primo e, soprattutto, del secondo sponsor (già introdotto nel biennio precedente), utilizzando una superficie espositiva non superiore ai 250 cm².

Nelle ultime stagioni (a partire dal campionato 2011/12), c’è stata una radicale inversione di tendenza su volontà della stessa Lega calcio. Dal tradizionale ed unico sponsor fronte maglia, si è passati al “second sponsor” (fino a 350 cm²), con la libertà di modulare, a proprio piacimento, l’immagine commerciale dei due sponsor, con differenti dimensioni o una suddivisione paritaria dello spazio complessivo a disposizione.

Da tre anni la serie A sta testando anche la formula del retro sponsor (200 cm²), posizionato nel “back” della divisa, sotto i numeri di gara dei calciatori (esperimento lanciato con successo già in Spagna, Francia e Austria). Un’operazione nata nel luglio del 2014, con un intervento diretto sull’art.72 del NOIF (ovvera la parte del regolamento federale dedicata alla “tenuta di giuoco dei calciatori”). Quest’anno, a sorpresa, l’ha introdotto anche la Juventus, legandosi al marchio nipponico Cygames, attivo nel settore dei videogiochi e delle carte collezionabili.

Nella stagione appena iniziata Bundesliga tedesca e Premier league inglese hanno introdotto lo “sleeve sponsor” (partner posizionato sulla manica sinistra della divisa).

La serie B, poi, nelle ultime stagioni, ha lanciato l’idea della vendita centralizzata dello sponsor (il marchio Came nel 2013/14) da apporre sui calzoncini dei calciatori.

Modalità diverse di sfruttamento commerciale che testimoniano la necessità inderogabile, per i club europei (non solo quelli italiani), di fare cassa. Le aziende possono sfruttare nuove opportunità di visibilità, fino a pochi anni fa neppure immaginabili, perchè, legandosi ad un unico marchio (il fronte sponsor di maglia), molte realtà rimanevano spesso escluse dal salotto buono del calcio, per mancanza di posizioni espositive potenzialmente disponibili.

Le aziende sponsor utilizzano questa formula per comunicare, a vari livelli, con i tifosi: dal merchandising, alla visibilità allo stadio, al buzz marketing (letteralmente “passaparola”) generato proprio dai fan, che decidono di indossare le maglie replica e mostrarle (in ufficio, come nel tempo libero o sui social, creando un vero e proprio effetto-onda), per testimoniare la propria fede calcistica. Non si può escludere, nei prossimi anni, la nascita di attività di co-marketing tra i partner commerciali di maglia ed i club. Un modo diverso di generare coinvolgimento per gli appassionati di calcio dello stesso team, sensibili a queste azioni, in ragione del fatto che la squadra si rafforza anche grazie alle entrate da ricavi sponsorizzativi. (fonte: Il Corriere dello Sport)

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Serie A: aumentano i marchi sulle maglie da calcio

Opportunità di ricavi per i club e di visibilità per le aziende sponsor

(di Marcel Vulpis) – Fedeli alla maglia, e, da alcuni anni, anche agli sponsor. E’ la nuova tendenza delle tifoserie, che hanno sempre vissuto la casacca di gioco come la bandiera, il simbolo iconico di una passione inesauribile per la squadra del cuore. Da un lato i football fan spendono (soprattutto all’estero) in capi di merchandising, dall’altro diventano loro stessi uomini-immagine indossandole, con il marchio di turno ben posizionato, in termini di grafica, sulla divisa.

I supporter del Manchester United (oltre 370 milioni), per esempio, sono i migliori promoter, nel mondo. dell’immagine di Chevrolet, brand automobilistico, che ha pagato 70 milioni di euro annui non solo per apparire all’Old Trafford o in tv, ma per diventare parte della vita dei tifosi del club.

Se un tempo apporre un marchio commerciale era vietato (come è successo in Italia fino alla prima metà degli anni Settanta) o poco opportuno, perchè i tifosi, per molti lustri, hanno ritenuto che lo sponsor potesse “sporcare” l’immagine del club; oggi è una modalità commerciale, oltre che comunicazionale, accettata dall’intera filiera del calcio.

Per gli addetti ai lavori la ragione è da cercare chiaramente nel ritorno economico, per i fan, le squadre possono, attraverso queste operazioni, disporre di liquidità strategiche, soprattutto in chiave di calciomercato. Lo sponsor quindi aiuta a vincere o almeno a far sognare.

La “rivoluzione” copernicana nel 2007/8

Fino ai primi anni Duemila, i club italiani non potevano sfruttare più di un marchio commerciale, oltre quello tecnico (fornitore e produttore delle divise). Con il comunicato Figc dell’8 agosto 2007 (articolo 6 – “Pubblicità dello sponsor”) si è arrivati ad una regolamentazione definitiva del primo e, soprattutto, del secondo sponsor (già introdotto nel biennio precedente), utilizzando una superficie espositiva non superiore ai 250 cm².

Nelle ultime stagioni (a partire dal campionato 2011/12), c’è stata una radicale inversione di tendenza su volontà della stessa Lega calcio. Dal tradizionale ed unico sponsor fronte maglia, si è passati al “second sponsor” (fino a 350 cm²), con la libertà di modulare, a proprio piacimento, l’immagine commerciale dei due sponsor, con differenti dimensioni o una suddivisione paritaria dello spazio complessivo a disposizione.

Da tre anni la serie A sta testando anche la formula del retro sponsor (200 cm²), posizionato nel “back” della divisa, sotto i numeri di gara dei calciatori (esperimento lanciato con successo già in Spagna, Francia e Austria). Un’operazione nata nel luglio del 2014, con un intervento diretto sull’art.72 del NOIF (ovvera la parte del regolamento federale dedicata alla “tenuta di giuoco dei calciatori”). Quest’anno, a sorpresa, l’ha introdotto anche la Juventus, legandosi al marchio nipponico Cygames, attivo nel settore dei videogiochi e delle carte collezionabili.

Nella stagione appena iniziata Bundesliga tedesca e Premier league inglese hanno introdotto lo “sleeve sponsor” (partner posizionato sulla manica sinistra della divisa).

La serie B, poi, nelle ultime stagioni, ha lanciato l’idea della vendita centralizzata dello sponsor (il marchio Came nel 2013/14) da apporre sui calzoncini dei calciatori.

Modalità diverse di sfruttamento commerciale che testimoniano la necessità inderogabile, per i club europei (non solo quelli italiani), di fare cassa. Le aziende possono sfruttare nuove opportunità di visibilità, fino a pochi anni fa neppure immaginabili, perchè, legandosi ad un unico marchio (il fronte sponsor di maglia), molte realtà rimanevano spesso escluse dal salotto buono del calcio, per mancanza di posizioni espositive potenzialmente disponibili.

Le aziende sponsor utilizzano questa formula per comunicare, a vari livelli, con i tifosi: dal merchandising, alla visibilità allo stadio, al buzz marketing (letteralmente “passaparola”) generato proprio dai fan, che decidono di indossare le maglie replica e mostrarle (in ufficio, come nel tempo libero o sui social, creando un vero e proprio effetto-onda), per testimoniare la propria fede calcistica. Non si può escludere, nei prossimi anni, la nascita di attività di co-marketing tra i partner commerciali di maglia ed i club. Un modo diverso di generare coinvolgimento per gli appassionati di calcio dello stesso team, sensibili a queste azioni, in ragione del fatto che la squadra si rafforza anche grazie alle entrate da ricavi sponsorizzativi. (Inchieste/Corriere dello Sport)

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