Serie A - Serie B

Ricerche – Tre proposte per il rinnovamento del calcio

Lo sport non è solo e soltanto una grande festa popolare, un’occasione di interesse per sportivi e appassionati, un modo di stare insieme, divertirsi e gioire.

Lo sport è anche, e sempre di più, un concentrato di interessi pubblici e privati, il cui mercato in Italia ha raggiunto nel 2007 un giro d’affari pari a 2,7 miliardi di euro in crescita del 2% medio annuo dal 2000 (fonte: ticonzero.info), tra diritti televisivi, ticketing, licensing e merchandising e sponsorizzazioni. Un mercato dunque enorme, che richiede, come ogni mercato, di essere gestito in modo competente, professionale, serio e nel rispetto delle regole.

Qual è la situazione in Italia per quanto riguarda il mondo del cacio, che da solo, escludendo i diritti delle competizioni internazionali, vale più della metà di tutto il mercato?

I risultati attuali, se si tralascia il recente successo della Nazionale agli scorsi Campionati del Mondo, non sembrano del tutto incoraggianti. A partire da quelli più legati al cuore di ogni sport, l’attività degli sportivi e l’audience degli appassionati. Secondo una ricerca ISTAT del 2006 i praticanti della disciplina del calcio sono in calo di circa il 5% e l’audience televisivo degli eventi sportivi mostra ormai da alcuni anni segni di atrofia.

Il sistema calcio in Italia mostra segnali di difficile comprensione: se da un lato le cinque più importanti squadre di Serie A guadagnano in diritti televisivi più di ogni altra squadra del circuito internazionale, dall’altro l’asta per i diritti televisivi della Coppa Italia era andata inizialmente deserta. Se da un lato non passa momento al bar o in pausa caffè al lavoro senza che si discuta di calcio, facendo dell’Italia il Paese dei 56 milioni di allenatori, dall’altro gli stadi sono ogni anno più deserti ponendo il nostro Paese all’ultimo gradino tra i grandi campionati europei per incassi da ticketing. Certo, si potrà dire, la differenza è da imputare ad una differente concezione degli stadi, che all’estero sono sempre più luogo di aggregazione non solo domenicale, mentre in Italia il loro utilizzo sembra essere limitato al solo mathcday.

Ma da chi dipende questa scelta? I mondiali del 1990 avrebbero potuto offrire, inoltre, una ghiotta occasione per un radicale cambio di marcia nella concezione e gestione  delle nostre strutture sportive. Cosa che evidentemente non è avvenuta.

A far apparire la gestione del nostro Calcio deficitaria o quantomeno in ritardo quanto a capacità manageriale non è solo l’audience televisivo o la gestione delle strutture sportive. Real Madrid, Barcellona o Manchester United hanno fatto un ulteriore passo avanti e allungato la corsa nella gestione del business sportivo: per prime hanno infatti capito che la passione dello sport supera i confini nazionali e si presta con grande facilità ad una gestione globale.

Saper sfruttare il potenziale economico del proprio brand sportivo non significa solamente focalizzazione commerciale su ricavi ed altri indicatori finanziari: il Barcellona ad esempio utilizza la notorietà della squadra e dei propri giocatori per promuovere gratuitamente l’UNICEF. Dalla sapiente gestione economica passa dunque la capacità di club, associazioni e federazioni sportive di contribuire allo sviluppo sociale del territorio in cui operano, facendo dello sport un luogo non solo di agonismo e divertimento, ma restituendogli pienamente il ruolo di motore dello sviluppo e della diffusione di tutti quei valori positivi che gli sono propri.

Tre potrebbero essere i cardini di un’azione diretta a rilanciare l’economia e la cultura del calcio nel nostro Paese.

Un primo sentiero critico è dato dalla necessità di avviare una diversificazione delle entrate dei club per ridurre il loro grado di dipendenza dai diritti Tv. A tal fine, i club dovrebbero avere maggior autonomia gestionale sullo stadio, sviluppando attività commerciali in modo da creare anche le condizioni per rendere maggiormente viable la loro quotazione in borsa.

Recenti scandali hanno dimostrato che il calcio ha il suo "lato oscuro" che può generare comportamenti scorretti che nulla hanno a che fare con fiducia, condivisione e spirito di cooperazione. Come azione preventiva (o come rimedio!) si può intervenire sulle regole oppure prendere spunto da esempi concreti come il caso Barcellona che, utilizzando come leva competitiva i legami con la propria comunità di riferimento, ha sviluppato: a) un modello partecipativo di governance; b) una dimensione organizzativa con obiettivi prettamente sociali; c) forme di sviluppo socioeconomico investendo anche in altri sport; d) una forte attitude verso i mercati internazionali.

Infine, un’ultima proposta di azione si concentra sulla valorizzazione dell’asset più importante di ogni team sportivo: i suoi atleti. Occorre ripensare il ruolo del calcio dilettantistico, che presenta una grande rilevanza, sociale ed economica troppo spesso trascurata. Questa "base della piramide" può rappresentare sia una grande opportunità di rilancio dello sport come valore e partecipazione, sia il vero vivaio del talento sportivo italiano ed il serbatoio da cui i club professionistici possono attingere di più, meglio ed in modo continuativo. (fonte: ticonzero.info)

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