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Decreto Dignità “cigno nero” del calcio italiano

Da sempre siamo campioni del mondo nel farci del male. Una tesi che trova conferma nel divieto di pubblicità-sponsorizzazioni dei marchi di scommesse, introdotto nel “Decreto Dignità” e diventato obbligatorio nell’ottobre 2019. Un’operazione ideata dall’allora ministro del Lavoro e MISE (ministero per lo Sviluppo Economico) Luigi Di Maio, che ha sacrificato, anzi bruciato, sull’altare del gioco d’azzardo patologico (GAP), circa 250 milioni di investimenti. Un fiume di denaro che, in tempi di Coronavirus, avrebbe aiutato più di qualche club a riequilibrare i conti di fine stagione.

Illato oscurodel provvedimento è da cercare nell’approccio ideologico che ha permeato una serie di norme totalmente “illiberali”. Cioè contrarie a qualsiasi logica di mercato, visto che in Italia, per poter promuovere il gioco, è necessaria un’autorizzazione governativa (pagata, tra l’altro, a peso d’oro).

Sempre lo Stato italiano ha vietato, negli ultimi mesi, qualsiasi attività di marketing per la promozione delle scommesse. Una contraddizione in termini come sottolineato, di recente, da Paolo Scaroni, presidente del brand AC Milan: “..in linea di principio quando vedo che viene emanato un provvedimento in antitesi con quanto fanno molti paesi europei, moderni e civili, non la ritengo un’azione brillante. Penso inoltre che azioni disincentivanti come questa, non fanno altro che lasciare maggiori opportunità di crescita alle scommesse clandestine”.

Calcio in ginocchio sotto i colpi del Covid-19

Il sistema calcio professionistico è ormai alla disperata ricerca di liquidità. Chiede da settimane aiuto ad un governo, che, però, fa finta di non vedere il collasso del settore. Come sottolinea il report della società di consulenza Deloitte, se il campionato non dovesse ripartire le perdite della Serie A potrà sfiorare il tetto dei 700 milioni di euro. Ciò significa che oltre l’80% dei club rischia di presentare bilanci in rosso, con successive ricapitalizzazioni (di difficile esecuzione) o ardite operazioni di “ingegneria” contabile (come nel caso delle plusvalenze).

I 90 milioni di euro (tra sponsorizzazioni e operazioni pubblicitarie visibili sui campi di Serie A), messi al bando dal Decreto Dignità, avrebbero aiutato le società a resistere all’impatto dell’emergenza sanitaria. Purtroppo l’ulteriore beffa è nella perdita di competitività a livello europeo.

Prenier League e Liga vivono di betting

Secondo il “World Football Report“, realizzato dalla società di ricerche Nielsen Sport, dal 2008 al 2017, le aziende attive nei settori del betting e delle lotteriehanno investito più di 575 milioni di euro per sponsorizzare le divise dei club delle sei principali Leghe europee (Premier League inglese, Bundesliga tedesca, Ligue1 francese, Serie A italiana, LaLiga spagnola, Eredivisie olandese). Flussi di denaro costanti che hanno sostenuto i progetti sportivi dell’industria del pallone. In Europa il mercato di riferimento è il calcio inglese.

In quest’ultima stagione le principali serie britanniche (dalla Premiership alla League One) hanno attratto circa 388 milioni di europrovenienti dal mercato del betting (attraverso diversi format commerciali).

Dieci club su 20 si presentano, quest’anno, con marchi del settore scommesse sulle divise di gioco. Senza considerare gli “sleeve sponsor” (sponsor di manica), come nel caso del marchio Mansion.com (casinò online), a supporto dell’AFC Bournemouth, o di Moplay (mobile betting e gaming) per il Watford. E il numero dei brand è assolutamente dominante anche nella seconda divisione (17 su 24 club della “Football Championship”). In totale 27 su 44  se si analizzano i contratti della massima serie e della cadetteria (sponsorizzata tra l’altro dal colosso Sky Bet). Soprattutto in quest’ultima divisione gli investimenti dei bookmaker pesano per il 30% dei ricavi commerciali dei club.

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Redazione

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