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Al Coni prove generali di una Governance moderna

 

(di Gianni Bondini)* – Che ci faceva stamattina il presidente-magistrato dell’Anticorruzione (Anac), Raffaele Cantone, nel salone d’onore del Coni a fianco del numero uno dello sport, Giovanni Malagò? E la domanda include anche i presidenti del Collegio di garanzia del Coni, Franco Frattini e Paola Schwizer, a capo della Nedcomunity (l’associazione degli amministratori di aziende), nonché il direttore degli Affari legali, sempre del Coni, Valeria Panzironi. E nel dopopranzo, si è aggiunto persino il procuratore generale dello sport Enrico Cataldi.

La risposta ufficiale è mettere a punto la “governance” del Coni, che significa: rivedere rispetto ai nuovi tempi “L’insieme di strumenti, regole, relazioni, processi e sistemi aziendali finalizzati ad una corretta ed efficiente gestione dell’impresa”.

Dove, in questo caso, l’ “impresa” è, appunto, il Coni che governa il mondo dello sport. “Gira che ti rigira”, recita un motto popolare, c’era da aspettarselo: per almeno due seri motivi.

Il primo è la “provenienza” di Giovanni Malagò, che, a differenza dei suoi predecessori non proviene dalla nomenclatura del Coni, ma dall’imprenditoria. Il secondo motivo e una nostra maliziosa spiegazione: i tempi stanno cambiando velocemente, lo sport si regge economicamente grazie al finanziamento governativo (tra 415-450 milioni di euro inseriti nella Legge Finanziaria e c’è un ministro dello sport (in questo momento è Luca Lotti), che esercita una funzione di controllo sulla “legittimità degli atti” (vecchia maniera) ma dispone anche di poteri più ampi.

Questo assetto, viste anche le “intromissioni” della politica, come con lo sgarbo indimenticato del “no” della sindaco Virginia Raggi e dei 5Stelle alla candidatura olimpica di Roma e le frequenti invasioni di campo di questo o di quello schieramento, hanno spinto Malagò e il suo capo staff nonché avvocato, Francesco Soro, a lanciarsi nella “revisione” degli strumenti della Governance Coni.

Il convegno di stamattina è stato solo l’inizio pubblico della risistemazione di una governance che consenta ancora al Coni di godere della sua autonomia. Perché si sente sempre con maggiore nostalgia quei tempi della legge (1942) che prescriveva che tutto lo sport fatto da “chiunque” e “comunque” venisse governato dal Foro Italico e la soppressione della schedina.

Non ho volutamente riportato interventi qualificanti, sottili argomentazioni giuridiche e neanche l’andamento della tavola rotonda sulla “Evoluzione del sistema sportivo”, col procuratore Cataldi, il presidente dell’associazione delle Federazioni olimpiche (Asoif) Francesco Ricci Bitti e il responsabile dell’Ufficio di Vigilanza del Coni Marco Befera.

Nelle pieghe del dibattito sulla “Governance del Coni” con un po’ di riflessioni si scoprono due temi molto importanti: il primo sta molto a cuore a Gioavnni Malagò e il  secondo, soprattuto un gol porta vuota che segna il capo dei dilettanti del calcio,senatore di Forza Italia Cosimo Sibilia. Vediamoli  con attenzione.  
L’argomento delle Federazioni sportive legalmente “ibride” è qaulcosa che disturba i sonni di Malagò da parecchio tempo. In pratica le organizzazioni che raggruppano le società di una qualsiasi disciplina (sono 45) ricevono contributi dal Coni, come percentuale del finanziamento pubblico del governo allo sport.                                          Ma quelle stesse Federazioni sono soggetti di diritto privato, con tutte le agevolazioni  di questo ruolo.
Per fare un esempio significativo. Quando  quelle stesse Federazoni soggiacevano al diritto pubblico: i  segretari  federali rispondevano al Segretario generale  del Coni e non erano,invece, avvocati,commercialisti o persone vicine al Presidente federale che li aveva “nominati”. E così sono state gestite con efficace trasparenza i vecchi commisariamenti del calcio o del penthatlon.

Fa bene Malagò a chiedere chiariemnti in materia, prima di tutto al Governo,  quello in carica e l’altro o lo stesso che verranno.  

A proposito di “accomodamenti” nella Legge di Bilancio il ministro dello Sport Lotti ha fatto inserire il passaggio ( che non intende rimangiarsi) che permette alle società dilettantistiche il fine di lucro”, in pratica di mettersi in tasca degli “utili”. Pensate agli incassi delle Scuole Calcio dei club professionistici e/o del merchandising (compravendite) sempre dei dilettanti. Pensate al pianeta calcistico della LND del senatore Sibilia, che, su queste modifiche legislative, dev’essere andato in gol palleggiando con Malagò e conquistando ancora consensi che potrebbero tornagli utili per la sua possibile candidatura alla presidenza della Figc (tra meno di 4 anni).

Ma nel nocciolo di questo provvedimento che c’è di così sconcertante? Spieghiamolo terra-terrra: i dilettanti a differenza dei professionisti godono di oneri fiscali molto agevolati. Pensate alla possibilitò di ricavare utili con le aliquote tributarie dei club dilettantistici anche del 50 per cento inferiori rispetto a quellea carico dei professionistici. Quasi dei paradisi fiscali dello sport. O no?

  • giornalista sportivo

 

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