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Quale futuro prossimo per l’Atletica post scandalo doping…

Pubblichiamo l’intervento del collega Federico Pasquali in prossima uscita sul periodico “Primato” (edito dall’EPS ASI), sul tema doping-atletica leggera-sponsor e sulle evoluzioni del prossimo scenario dello sport-business, sempre più key-point nello sviluppo delle discipline sportive.

di Federico Pasquali – Lo sport senza sponsor non riuscirebbe più a sopravvivere, così come le aziende che investono nello sport si sono moltiplicate nel tempo perché non c’è molto di più redditizio in termini d’immagine. Lo sport trasmette valori ed emozioni, fa il pieno in tv e nelle diverse arene in molte occasioni. Dalle gare di automobilismo e motociclismo al calcio, almeno in alcune nazioni e nei grandi eventi, dai grandi tornei di tennis a quelli di golf, dai meeting internazionali di atletica leggera a quelli di nuoto. E la lista è ancora molto lunga. Insomma, il binomio sembra indissolubile. Basta pensare al caso della Ferrari, la casa automobilistica di Maranello che in tutta la sua storia non ha mai investito in pubblicità di prodotto o d’immagine, ma solo nello sport, facendolo da protagonista in prima persona con le proprie macchine da corsa. Gli sponsor, soprattutto le multinazionali, cercano settori della vita che trasmettono valori universali, positivi e immediati. In fin dei conti parliamo di brand che valgono miliardi di euro, quindi è gioco forza che cerchino di trasmettere un’immagine positiva. Che succede allora quando un atleta o un movimento intero perde di credibilità perché non trasmette più valori positivi o non ha più un grande appeal sulla massa? Semplice, che gli sponsor si allontano. E accade il contrario quando invece una disciplina sportiva o un atleta inizia ad essere amato, dunque popolare. Analizzando alcune situazione eclatanti del nuovo millennio è facile capire il meccanismo. Dalla fine degli anni ’90 il ciclismo ha iniziato a perdere consensi a causa del fenomeno negativo del doping diffuso. Dal caso Pantani, la cui verità ancora deve essere chiarita in tutti gli aspetti a quello dell’americano Lance Armstrong, padrone assoluto del Tour de France affondato dalla piaga doping solo dopo qualche anno dal suo ritiro dalle corse. In mezzo decine di casi di ciclisti eccellenti beccati ai controlli antidoping. Così tante aziende che avevano abbinato il proprio marchio alle squadre più forti e ai loro leader sono scappate via mettendo in crisi un po’ tutto il sistema dei grandi eventi ciclistici. Al contrario invece il rugby ha iniziato ad attirare sempre di più le multinazionali. In Italia, con l’ingresso della Nazionale nello storico Torneo delle Cinque Nazioni (divenuto Sei Nazioni con i nostri dentro), così come negli altri paesi dove il rugby aveva grande tradizione ma era considerato uno sport di nicchia, anche se i valori positivi insiti nella disciplina erano riconosciuti universalmente. E a forza di “spingere” ecco che la variante a 7 dello sport di matrice anglosassone è entrato a far parte del programma olimpico. Anche con gli atleti i meccanismi sono simili. Un esempio lampante e abbastanza recente è quello del marciatore azzurro Alex Schwazer. L’oro olimpico ai Giochi di Pechino 2008, alla vigilia di quelli di Londra 2012 ha ammesso di aver fatto uso di sostanze dopanti beccandosi una squalifica di quattro anni. Pochi giorni dopo il suo annuncio, i tanti sponsor che avevo investito sulla sua immagine, la Kinder su tutti, hanno rescisso i contratti. Di casi simili ce ne sono stati molti e, purtroppo, ce ne saranno ancora perché la piaga del doping non è vicina ad essere eliminata. Quello che è successo di recente però è abbastanza singolare nella storia delle sponsorizzazioni. Parliamo della vicenda che ha interessato la IAAF, l’associazione internazionale di atletica leggera, ossia il governo mondiale dello sport olimpico per eccellenza. Lo scorso anno è scoppiato lo scandalo doping globale, con gli atleti russi sotto accusa. Uno scandalo che ha travolto la IAAF, in quanto si è scoperto che i vertici della stessa sapevano di alcuni casi e avevano coperto la questione. Dopo poche settimane, uno dei principali sponsor della IAAF, l’adidas, aveva fatto capire che il danno d’immagine era troppo forte e stava pensando di rompere il contratto che la legava alla Federazione internazionale fino al 2019 per una cifra di 32 milioni di dollari tra soldi e forniture. A gennaio, dopo le conferme fornite dalla seconda puntata dell’inchiesta della Wada riguardo la cultura radicata del doping e della corruzione per coprirlo, l’adidas ha ufficializzato il divorzio definitivo dall’atletica. Ma non è finita qui, perché un mese dopo è arrivato anche l’addio di un altro colosso mondiale, stavolta del food and beverage, ossia la Nestlè. Ora si rischia una reazione a catena con le altre multinazionali che potrebbero dire addio all’atletica hanno spinto il gigante tedesco a formalizzare il suo addio all’atletica (Canon, Toyota, TDK, Mondo e Seiko gli altri partner attuali della IAAF). Un caso singolare – ad esempio non è successo lo stesso col governo mondiale del calcio i cui vertici sono stati accusati di corruzione – che fa capire quanto il doping sia diventato così influente negativamente nel mondo globale dello sport. Per capire bene cosa sta avvenendo ci siamo rivolti ad uno dei più grandi esperti italiani di sport marketing, Marcel Vulpis, diretto dell’agenzia di stampa Sporteconomy.

 

Direttore Vulpis, perché una multinazionale, in questo caso adidas, si dissocia da una grande realtà come la IAAF dopo uno scandalo come il doping e non lo fa ad esempio con la Fifa travolta da altri scandali?

“Le ragioni sono diverse. Caso FIFA: qui si parla di presunta corruzione, evasione, tangenti e paradisi fiscali. Fatti sicuramente gravissimi, ma messi in campo (una volta terminate le indagini dell’FBI e della commissione etica della FIFA) da dirigenti che fanno parte dell’organigramma. Non a caso è stata attivata una commissione ispettiva che ha portato all’esclusione di diversi top manager, a livello temporaneo e non solo. Il messaggio “forte”, passato anche sui media, è semplice: rimuovendo alcuni dirigenti (più o meno coinvolti) tutto dovrebbe o potrebbe tornare alla normalità. Nel caso della IAAF, se fossero confermate le accuse di doping nei confronti di molti atleti russi, ci si troverebbe di fronte ad uno sport, l’atletica, che deve rinunciare a degli eventuali atleti che hanno aggirato l’etica e i loro avversari, che, magari, hanno praticato gare in modo pulito. Più facile rimuovere dirigenti, più difficile e “pesante” in termini di immagine, anche per gli sponsor, mandare a casa i “furbetti” della pista. Una frode sportiva, ancora oggi nell’immaginario collettivo, è un fatto più negativo di un tentativo di evasione o di estero-vestizione. Ecco perché una adidas o una Nestlè si sono trovate a revocare la sponsorizzazione, perché i valori dello sport pulito e sano sono stati quantomeno traditi. Come si fa a parlare di contenuti e di valori sani, se lo sport sponsorizzato ed i suoi eventi sono taroccati? Ecco perché gli stessi sponsor hanno avuto comportamenti diversi nei confronti della FIFA o della IAAF”. 

 

Sarà un processo irreversibile secondo lei? E a suo parere conviene ancora a una multinazionale investire ingenti somme in una Federazione, come sappiamo lenta e burocratica e poco social?

“E’ corretto prendere una pausa di riflessione sia per adidas, sia per Nestlè. Ma nulla è immutabile, sia in positivo, sia in negativo. Non si può mettere, pertanto, alla gogna un intero sport o movimento, ma certamente gli sponsor hanno bisogno, oggi come ieri, di potersi fidare sia di chi organizza gli eventi, sia di chi vi partecipa nel ruolo di atleta “attivo”. Il nuovo presidente della Iaaf, sir Sebastian Coe (ex numero uno del Locog per i Giochi di Londra2012) sono certo che si impegnerà in una operazione di pulizia interna e, più in generale, di trasparenza. E’ l’unico modo per ricostruire un sano rapporto con il grande pubblico appassionato di atletica e con gli sponsor che vogliono utilizzare la cornice valoriale di questa disciplina olimpica. Il tema social è un “non problema”. E’ sufficiente legarsi a strutture consulenziali competenti nel mondo digital per recuperare il tempo perso fino ad oggi. C’è, però, un aspetto demografico non banale. Lo stesso Coe ha sottolineato come uno dei minus di questo movimento sia l’età media degli appassionati/spettatori dell’atletica: ben oltre i 50 anni. Certamente questo non è un target socio-demografico vicino al mondo dei new media. Bisogna aprirsi ai giovani, saperli intercettare in tutto il mondo, giocando sulla creatività, fantasia e divertimento. E’, per certi versi, l’operazione di restyling (anche grafica), che sta facendo la Premier League interessata a catturare nuovi target giocando sui colori, grafica e, appunto, sui social. Basta copiare, mi permetto di suggerire, anche in casa IAAF e Fidal. Gli organismi (le federazioni nazionali e internazionali) deputate a governare i singoli movimenti sportivi sono purtroppo lente, poco moderne e con management nati nel volontariato. Dirigenti con scarse esperienze in ambito aziendale, incapaci talvolta di dialogare con queste realtà complesse e articolate. Le federazioni devono cambiare, perché sono l’anello debole di questi movimenti, pur volendo a tutti i costi governare i processi organizzativi e di sviluppo. Il mondo sta cambiando e nel giro di pochi anni queste strutture, oltre che obsolete, saranno inutili, perché la gente non ha bisogno di essere “organizzata” da parte delle federazioni per praticare determinati sport. Strutture, le federazioni, di un mondo che si sta sgretolando”. 

 

3) Cosa cercano ora e cosa cercheranno in futuro le multinazionali nel mondo dello sport? Punteranno solo sugli atleti? O solo sui grandi eventi?

“Cercano di entrare in modo diretto e partecipativo con chi ha voglia di praticare sport, non per forza a livello agonistico. Nel futuro i numeri veri li faranno i grandi eventi emozionali. Questo non vuole dire che scompariranno manifestazioni istutzionali come il Golden Gala o altri big event internazionali. Le multinazionali sceglieranno i grandi eventi sempre per i numeri della televisione, ma per entrare in contatto diretto con il consumatore finale dovranno andare su altri terreni livelli o piattaforme. Il futuro è nella “disintermediazione” dello sport attivo. Non c’è bisogno di realtà federali per sviluppare progetti di questo tipo. Ecco perché oggi la gente ha sempre più piacere a partecipare a format sportivi costruiti sulla semplice aggregazione e partecipazione e a non considerare quelli più strutturati sotto l’egida di Federazioni. Un esempio per tutti al di fuori dell’atletica: il futsal è uno degli sport più amati dai giovani. La federazione cura il campionato italiano e il calendario di gare delle nazionali azzurre, ma i numeri più importanti (e non è un caso se il primo main sponsor è stato adidas) li sta facendo un circuito spontaneo, nato come vero e proprio social, dal nome simpatico e moderno: Fubles. Il mercato sta andando in una direzione e le federazioni devono capire che non si può andare contro il mercato. Significherebbe essere folli”.

(fonte: in uscita sul prossimo numero di “Primato” – periodico ASI)

 

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