Olimpiadi

Olimpiadi – Giochi sotto attacco dell’ambush marketing

Ambush marketing (”marketing da imboscata” o “parassitario”) è il termine utilizzato per indicare la strategia abusiva di un brand che sfrutta la visibilità di un evento, associandovi indirettamente il proprio marchio, per promuoversi con una spesa minore.

In occasione di ogni grande evento sponsorizzato si registrano vari episodi. Tra gli esempi più celebri ci sono: i Giochi Olimpici del 1984, ove Kodak sponsorizzò le riprese Televisive della squadra olimpica americana nonostante Fujifilm fosse lo sponsor ufficiale; la Coppa del Mondo del 1988, ove Nike sponsorizzò alcune squadre iscritte alla competizione, nonostante Adidas fosse lo sponsor ufficiale; gli ultimi Campionati del Mondo di Calcio del 2006, in Germania, alcuni sostenitori della squadra olandese furono costretti ad assistere all’intero match contro la Costa d’Avorio letteralmente in mutande, rei di indossare la tradizionale divisa “orange” recante il marchio di una nota marca di birra non rientrante tra gli sponsor ufficiali della competizione.

Il fenomeno, che ha come effetto quello di erodere l’efficacia recognitiva della “brand perception” garantita agli sponsor ufficiali dall’esclusiva sull’evento, è una tecnica di difficile regolamentazione. I suoi effetti, assolutamente dannosi, non sono poi facilmente eliminabili.

C’è chi sostiene che queste pubblicità parassite abbiano preso il posto degli hooligans nell’insidiare la correttezza e buona condotta degli eventi sportivi. Ovviamente il dibattito si riapre in vista delle prossime Olimpiadi. Quest’anno 12 aziende hanno speso un totale di $866 milioni per diventare gli sponsor esclusivi delle Olimpiadi di Pechino. Le autorità cinesi hanno risposto con la consueta correttezza e il noto rigore, promettendo di controllare tutti i maggiori centri sportivi nella città Olimpica e imponendo l’utilizzo di quegli spazi solo alle aziende sponsor, che hanno versato milioni di dollari nelle casse degli organizzatori cinesi.

La questione su cui discutere è l’etica pubblicitaria: fin dove ci si può spingere con queste nuove forme di pubblicità, è necessario trovare regole anche per il "guerrilla marketing"?

fonte: One Marketing

 

 

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Marcel Vulpis

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