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La cura Tebas fa bene al calcio spagnolo

(di Andrea Ranaldo) – Se a livello sportivo il calcio spagnolo è stato il re incontrastato dell’ultima decade, grazie ai trionfi della nazionale iberica e ai numerosi trofei collezionati da Real Madrid e Barcellona, non si può dire altrettanto della condizione economica generale del movimento iberico, con la crisi culminata, al termine della stagione 2014/2015, con la retrocessione in Segunda Division dell’Elche per via dei troppi debiti.

Toccato il fondo, è partita la risalita: il merito di questa autentica rivoluzione è da ascrivere all’avvocato Javier Tebas, eletto presidente della Liga nell’aprile 2013 con l’appoggio di 32 club su 42. È grazie alle sue riforme che il calcio spagnolo è oggi un brand globale in costante ascesa, secondo soltanto alla Premier League inglese.

 SITUAZIONE PRE-TEBAS

La crisi economica scoppiata nel 2008 ha colpito pesantemente la Spagna, non risparmiando il ricco mondo del calcio. Prima dell’avvento di Tebas, su 42 club più della metà era fortemente indebitata, oppure ingaggiava calciatori fuori budget e, in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo sportivo, a fine stagione non adempiva ai propri oneri contrattuali.

Il sopraccitato caso dell’Elche, classificatosi 13° ma retrocesso d’ufficio, è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso: il calcio spagnolo era gravemente malato, e necessitava di una cura d’urgenza.

 LA RIVOLUZIONE: ARRIVA IL CONTROLLO ECONOMICO EX ANTE

Nessun palliativo. Javier Tebas è uomo d’azione, e a pochi mesi dal suo insediamento ha introdotto il provvedimento che di lì a poco avrebbe rivoluzionato il movimento calcistico spagnolo: il controllo economico, sia ex ante che ex post.

È questa la principale differenza con il Fair Play Finanziario della UEFA, la cui efficacia è al momento a dir poco discutibile: la Liga, con un approccio proattivo, valuta a priori la condizione di un club, analizzandone il giro d’affari e impartendo le eventuali sanzioni attraverso un comitato formato da tre economisti e due avvocati.

Per sintetizzarne il funzionamento, ora grazie al provvedimento le spese di ogni club per calciatori e staff tecnico non possono eccedere il 70% dei ricavi. Sono ovviamente concessi gli investimenti di capitali, ma con forti limitazioni, e questo in seguito al “caso Malaga”. L’11 giugno 2010 lo sceicco qatariota Abdullah bin Nasser bin Abdullah Al Ahmed Al Thani aveva ufficializzato l’acquisto della squadra andalusa, salvo stufarsi del “giocattolo” soltanto due stagioni dopo, lasciando il club in un autentico baratro finanziario. Un precedente pericoloso: oggi, un’azionista intenzionato ad investire, ad esempio, 20 milioni di euro, può spendere, in realtà, 5 milioni di euro spalmati su quattro stagioni (contratto medio di un calciatore).

L’obiettivo di queste misure è eliminare ogni forma di debito di un club, sia verso lo Stato che verso i calciatori o le altre contendenti, e i risultati sembrano dare ragione a Tebas: in poco più di 2 anni, le società spagnole sono diventate finalmente profittevoli, e la competitività della Liga è oggi ai massimi storici.

 

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Redazione

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