La crisi di Wind Jet e la galassia di società di Nino Pulvirenti
Wind Jet è una delle imprese di
Pulvirenti ed è balzata agli onori della cronaca per le gravi difficoltà
economiche che sta passando da alcune settimane, aggravate anche dal fatto che
la trattativa con Alitalia, per salvare l’azienda e gli oltre 500 dipendenti ad
essa collegata, si è purtroppo arenata. Una disfatta nella disfatta.
La situazione economico-finanziaria della Wind Jet non
è stata sempre negativa. Wind Jet, dall’anno della sua fondazione (nel 2003) e
fino al 2009, ha chiuso tre bilanci in leggero utile (appena sotto il milione
di euro) e quattro, invece, in rosso (per cifre mai superiori al milione e
mezzo). Ma anche quelli cosiddetti in “rosso” possono essere
considerati “fisiologici”, ci sottolineano diversi analisti di
bilancio, perchè una compagnia di bandiera low cost, inserita in un mercato
estremamente competitivo, qual è quello attuale dei vettori aerei, può
presentare dati di bilancio non perfetti nei primi cinque bilanci di esercizio.
Fa parte dell’essere un’azienda in “start-up”.
Nel bilancio 2010, analizzato di recente da Radiocor
(il 2011 non è ancora disponibile), emerge, però, che l’azionista, Antonino
Pulvirenti, ha venduto nel 2009 per 10 milioni di euro alla compagnia aerea il
marchio “Wind Jet”, detenuto attraverso la Meridi, società attiva nel
settore dei supermercati, a sua volta azionista con il 37,5% del vettore aereo
(il resto fa capo alla holding dello stesso Pulvirenti, la Finaria). In
precedenza venivano pagate 700 mila euro di royalities all’anno. Questa
operazione di cessione del marchio, legata a filo doppio all’aggravarsi della
crisi economica sui mercati internazionali (peraltro ancora non ben definita a
partire dai prossimi mesi a venire), non è stata una scelta oculata, come,
peraltro, segnalano gli stessi revisori nel bilancio 2010.
Tra l’altro, anche sotto il profilo marketing non si
capisce il “senso” di vendere alla società, di cui si è l’azionista
di maggioranza, il proprio marchio attraverso una società del gruppo, visto che
normalmente quando si mette in campo un business, la società operativa è anche
proprietaria del/dei marchio/i (fa parte di quello che viene definito
“corporate identity”).
Nel 2011, Wind Jet, secondo quanto dichiarato ai media
dalla stessa società, ha chiuso con una perdita attorno ai 10 milioni di euro
(sono stati 3,1 milioni del 2010). In totale i debiti di Wind Jet a fine 2010
si attestavano a 134,8 milioni (da 106,9 milioni nel 2009) di cui 28,2 milioni
con le banche e 68,3 milioni con i fornitori. C’è da sottolineare che
parallelamente a queste operazioni lo stesso Pulvirenti ha cercato di
intervenire, immettendo risorse per 11,5 milioni di euro attraverso “finanziamenti
infruttiferi”, ma secondo i revisori di bilancio il futuro della compagnia
aerea “è legata alla concreta possibilità che la società produca utili
futuri e in misura tale da poter assorbire i conseguenti ammortamenti, il cui
effetto negativo sui risultati della gestione annuale è significativo”.
Il resto è cronaca. Quello che più fa riflettere è come
le storie di molte società italiane in crisi siano pressochè caratterizzate da
un unico fil rouge: esplodono all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno.
Nessuno, e sottolineo nessuno, tra gli addetti ai lavori, si accorge prima ciò
che sta per accadere e prova a intervenire per porre rimedio (il caso Parmalat,
anche se in alcun modo collegabile alla storia di Wind Jet, è un esempio di
come tutti sapevano, ma nessuno è intervenuto).
E’ infatti innegabile che, negli ultimi quattro anni,
i debiti di Wind jet si sono raddoppiati, mettendo a terra più di 500
dipendenti, e senza calcolare l’impatto che questa crisi aziendale avrà
sull’indotto presente sul territorio (in una Sicilia, che, come tutto il Sud,
sta soffrendo particolarmente la crisi contingente).
Wind Jet ha sicuramente beneficiato, nella fase di
lancio, della liquidità messa in circolo dallo stesso Pulvirenti, ma
successivamente, dal 2003 ad oggi pur decuplicando il fatturato ha visto
crescere i costi di produzione e gli oneri derivanti da un forte indebitamento
con le banche e soprattutto i fornitori. Va detto, però, che l’azienda ha negli
ultimi anni attuato un piano di rinnovo della flotta inaugurando nuove tratte
italiane e internazionali e ciò ha comportato, nel breve periodo, costi non
immediatamente recuperabili (quindi ulteriori uscite finanziarie). Attualmente
la compagnia etnea controlla il 2% del mercato low cost, troppo poco per poter
cullare sogni di gloria.
Anche la posizione “attendista” di Alitalia,
però, deve far riflettere: cosa sta portando la compagnia di bandiera italiana
di riferimento a rinunciare a salvare Wind Jet, pur sapendo che attraverso
l’acquisizione della stessa e di Blue Panorama, entrerebbe dalla porta di
ingresso nel segmento dei voli a basso costo, andando a generare un business
globale di 4 miliardi di euro, e contrastando colossi del calibro di RyanAir e
Easyjet, proprio nello stesso settore?. Cos’è che non convince o persino
spaventa il managament di Alitalia, tanto da portare la stessa a dichiarare
definitivamente fallita la trattativa?. Perchè Alitalia non se l’è sentita di
continuare nell’operazione, pur avendo le possibilità di ristrutturare
(attraverso i rapporti di alto livello di Colaninno & soci) il debito con
banche, fornitori ed erario?
Fa riflettere come purtroppo stia andando in fumo il
lavoro di ben 9 anni. Un progetto ambizioso che aveva posto Wind Jet al quarto
posto tra le compagnie nazionali, dietro al colosso Alitalia, e al 25° tra
quelle presenti sull’isola, e tutto, è bene ricordarlo, interamente a capitale
siciliano. L’unica soluzione percorribile è trovare un nuovo
“partner” del comparto aereo, con il quale intavolare una trattativa
che porti quest’ultimo a prendersi carico dei debiti di WJ e di una parte dei
dipendenti. In questo modo Pulvirenti ne uscirebbe totalmente “salvo”
e potrebbe concentrarsi nuovamente sui business nel settore della distribuzione
organizzata, alberghiero e sportivo che, al momento, sembrano più tranquilli e
profittevoli. Se ciò dovesse accadere il patron del Catania vedrebbe il
business calcistico in alcun modo toccato dal “default” della compagnia
aerea. In attesa nel 2012 comunque di poter analizzare i dati della holding
Finaria SpA (nel bilancio al 30 giugno 2011, per esempio, non si evidenziano in alcun
modo operazioni atipiche e/o inusuali) e della società Meridi. (1a parte/continua)
(di Marcel Vulpis) – Una serie di fattori e di congiunture sfavorevoli, a partire dalla perdurante crisi economica, passando per l’aumento delle materie prime come il carburante, hanno messo a terra Wind Jet, la compagnia low cost catanese, nata da un’intuizione imprenditoriale di Antonino Pulvirenti, più famoso al grande pubblico per essere il patron del Catania calcio (presiede una galassia di realtà operanti nella distribuzione commerciale, comparto alberghiero e appunto sportivo), iscritto regolarmente alla prossima stagione di serie “A”.