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Fondo “salva sport”: opportunità e criticità della nuova tassa sulle scommesse

E’ braccio di ferro tra il mondo dello sport, guidato dal calcio, e l’industria del betting. In gioco un “tesoretto” potenziale di 145 milioni di euro, strettamente collegato alla proposta di tassazione (nella misura massima dell’1%) della raccolta di scommesse sportive (nel 2019, in Italia, è stata pari a 14,5 miliardi di euro).

Un prelievo forzoso richiesto espressamente dalla Figc e intermediato dallo Stato. L’operazione potrebbe dare ossigeno ad un intero sistema, attraverso la costituzione di un fondo denominato “salva sport”, inserito nel Decreto Rilancio (l’approvazione del testo è attesa per la prossima settimana).

<> on February 24, 2020 in Rome, Italy.

La cronistoria della proposta

Già nel dicembre scorso Gabriele Gravina (presidente Federcalcio – nella foto in primo piano) aveva sensibilizzato il mondo della politica sull’opportunità di tassare la raccolta delle scommesse sportive. Questa idea è pubblicata, e ben descritta, nel programma elettorale (2018) del dirigente pugliese: “…Il calcio non può rimanere al di fuori dal circuito remunerativo delle cosiddette scommesse sportive”. Più in generale, nello stesso testo, si rivendicava “il diritto di attivare tutti i canali utili per partecipare a questa fonte di risorse…Oppure, più semplicemente, nella logica del riconoscimento dell’attività di impresa, di ottenere la giusta remunerazione per il sistema calcio”.

A distanza di due anni, grazie anche all’alleanza con la Lega Serie A, la Figc sta provando a forzare i tempi per portare a casa un minimo di 35 milioni di euro (per l’anno in corso) e ulteriori 40 milioni per il 2021 e il 2022, come previsto attualmente nel testo del provvedimento. Si attendono, infatti, i controlli del ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e dell’Agenzia delle dogane e dei Monopoli (ADM).

L’obiettivo più ambizioso è intercettare una percentuale pari allo 0.75%-1%, sul totale della raccolta da scommesse relative ad eventi sportivi (inclusi quelli “virtuali”).

Se passasse questa linea, sulla base dei dati 2019 (circa 14,5 miliardi di euro), il fondo “salva sport” potrebbe disporre di una dotazione economica compresa tra 108,7 milioni (nell’ipotesi di tassazione allo 0,75%) e 145 milioni di euro (nel caso di imposizione fiscale all’1%).

La rivolta degli operatori del betting

I principali operatori del settore scommesse sono sul piede di guerra, perché in caso di approvazione, sarebbe il secondo aumento della tassazione in appena tre anni, dopo che oltre 10mila strutture (tra punti vendita monomarca e corner all’interno dei tabacchi) sono rimaste chiuse, per più di due mesi, durante la fase1 del lockdown. Non a caso, ieri, i 40mila lavoratori del comparto hanno protestato facendo suonare gli “allarmi” dei punti vendita, presenti in tutta la penisola, per contestare la politica del Governo. Il contributo dello 0,75%-1% sulla raccolta dalle scommesse “determinerebbe un incremento stimabile nel 30-33% circa dell’attuale tassazione, costringendo gli operatori a scelte drastiche, con immediate ripercussioni negative sull’occupazione” e si sommerebbe alle aliquote già in vigore per le scommesse in agenzia (20% del margine), le virtuali (22%) e l’online (24%). Questo flusso di betting genera circa 433 milioni l’anno di entrate.

Più in generale la filiera del gioco (con particolare attenzione al segmento delle scommesse sportive) si troverà “costretta a valutare la possibilità di non fare più ricorso alle concessioni italiane per la raccolta, per ricercare altre opportunità all’estero e, di conseguenza, verrà azzerato il gettito erariale delle scommesse”, con lo stato di crisi per decine di migliaia di lavoratori.

La rabbia del settore, nei confronti delle istituzioni del calcio, nasce anche da una serie di evidenze. Le leghe professionistiche, con l’approvazione del “Decreto Dignità” (dal novembre scorso le aziende di betting non possono più mostrare marchi o prodotti su maglie e cartelloni pubblicitari), hanno rinunciato ad almeno 45 milioni di ricavi. Adesso, sotto i colpi del Covid-19, cercano di recuperare parte della perdita attraverso l’imposizione fiscale del Governo, andando a toccare anche le scommesse “virtuali” (veri e propri “eventi simulati”, in alcun modo collegabili allo sport in generale).

La proposta della Federcalcio si ispira al modello di finanziamento diretto, attraverso il “diritto alla scommessa”, applicato in Francia a favore degli organizzatori di event sportivi. L’1% delle scommesse sugli eventi effettuati sul territorio transalpino viene versato direttamente  dall’operatore di gioco all’organizzatore della manifestazione. La Commissione Europea, però, ha criticato questa modalità per il mancato rispetto di alcuni principi, con particolare riferimento alla “libera prestazione” dei servizi.

In Italia, la legge Melandri non prevede alcun diritto d’autore o diritto alla scommessa, tale da giustificare la richiesta del mondo del calcio. Il legislatore, d’altronde, ha già istituito meccanismi di finanziamento indiretto a supporto dello sport, attraverso il prelievo erariale ed extraerariale dei giochi (con vincita in denaro). Si configurerebbe, in questo modo, un secondo “aiuto di Stato” mascherato da necessità collegate all’emergenza sanitaria. Ma i problemi del calcio non nascono oggi, perchè erano conosciuti dai vertici sportivi già prima dell’esplosione del Coronavirus nel nostro paese.

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