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Di Cintio (DCF Legal): Nello sport italiano è tempo di quote rosa.

Oggi le quote rosa nella politica sportiva, domani il professionismo negli sport femminili. Secondo l’avvocato Cesare Di Cintio, esperto di diritto sportivo, dopo l’introduzione dell’obbligo (da parte di tutte le federazioni) ad eleggere all’interno dei rispettivi consigli federali almeno un terzo dei componenti donna, il riconoscimento del professionismo per le atlete di sesso femminile è solo una questione di tempo.
Dal prossimo ciclo elettorale, un terzo dei consiglieri federali dovrà essere donna. Una svolta epocale?
Sicuramente. Una scelta di progresso e democrazia. Le donne rappresentano il valore aggiunto per il mondo dello sport, ve lo dice uno che si può avvalere di un team prevalentemente femminile nella propria struttura.
A oggi, qual è la percentuale di donne all’interno dei consigli federali in Italia?
Troppo bassa, il ricambio generazionale della classe dirigente sportiva italiana passa attraverso un ingresso deciso delle donne. Tra qualche anno mi piacerebbe pensare ad una donna presidente del CONI. Anche se quello attuale (Giovanni Malagò, nda) oggi è l’uomo giusto, nel posto e momento giusto. Ma qui parliamo appunto di futuro prossimo.
Come potrebbe avvenire tecnicamente l’elezione delle quote rosa?
Tecnicamente avverrebbe riservando alle quote rosa una parte dei posti degli organi di governo dello sport. Ciò consentirebbe l’ingresso diretto di rappresentati del sesso femminile. Il punto tuttavia non è tanto il discordo uomo o donna ma l’effettiva preparazione dei dirigenti sportivi – allo stato piuttosto discutibile – che, invece, grazie all’osservanza di un principio di uguaglianza dovrebbe consentirne un innalzamento del livello di preparazione. In sostanza se una donna è più brava di un uomo è giusto che vada avanti nelle carriera politica/sportiva la donna e non l’uomo!
In Federcalcio, ci saranno 7 consiglieri donna su 21. Siamo pronti per una rivoluzione culturale?
Dobbiamo esserlo e lo saremo! Oggi sono le donne che danno lustro al mondo del calcio con i risultati importanti delle nazionali femminili.
Il prossimo passo sarà il riconoscimento del professionismo per le atlete di sesso femminile?
In pratica è solo questione di tempo. Prima o poi ci sarà qualche atleta che deciderà di portare avanti questa battaglia legale, un po’ come fece Bosman* a suo tempo. Qualcuna in questo senso si è già rivolta al mio studio. È impensabile da un punto di vista giuslavoristico che una atleta (che magari pratica uno sport che contempla l’area professionistica per i maschi) sia tenuta ad osservare orari, presentarsi ad allenamenti, ritiri, partite, sette giorni su sette ed esser considerata dilettante, mentre il suo collega uomo che pratica, magari ad un livello più basso, il medesimo sport, debba esser considerato professionista. Dall’altro lato sarebbe invece una forma di Garanzia anche per i club. Ed infatti perché investire soldi e risorse su una atleta che non è una propria dipendente e che, quindi, potrebbe (dopo la decadenza del vincolo) esser libera ogni anno di cambiare casacca? Perché acquisire magari giocatrici dall’estero con il pericolo che possano andarsene in qualsiasi momento? C’è bisogno di una riforma netta per lanciare lo sport al femminile ma dobbiamo anche dare atto che la rivoluzione culturale è già iniziata e non si fermerà.
* provvedimento adottato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel 1995, per regolamentare il trasferimento dei calciatori nelle federazioni appartenenti all’UE.
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Redazione

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