Punto e a Capo

Con la morte del Papa anche lo Sport è “orfano”

In queste ore fiumi di inchiostro sono stati già scritti sulla figura di Giovanni Paolo II, il”robusto montanaro di Wadowice”, come lo descrisse il cardinale Wyszynski, arcivescovo di Varsavia. Consentiteci di aggiungere una piccola tessera a questo grande mosaico, per ricordare e celebrare la figura di un grande uomo. Nessuno dei suoi amici e compagni di scuola avrebbe mai immaginato che il giovane Lolek, il soprannome con cui era conosciuto, promettente attore, sarebbe un giorno divenuto Giovanni Paolo II. La sua impronta è stata subito forte ed anticonformista. Per la prima volta un uomo che era stato attore e operaio, che era cresciuto con amici ebrei, che praticava attivamente sport (nuoto e tennis) è salito al soglio di Pietro. In vista del Terzo Millennio del Cristianesimo ha lanciato il Grande Giubileo, come egli lo ha chiamato, il primo di un Fine Millennio. Per la prima volta il Giubileo viene impostato come occasione di pentimento per la Chiesa stessa,alla quale ha chiesto un esame di coscienza sugli errori,gli sbagli, le violenze di tutta la gerarchia della Chiesa. Lo ha fatto personalmente per i roghi dell’inquisizione,per gli schiavi,per il massacro degli indios e per la colpa dei cristiani contro gli ebrei. E proprio sul principio del Giubileo,il 29 ottobre 2000 nello stadio Olimpico di Roma, il Papa ha riunito il mondo dello sport. Ha invitato tutti ad un cammino di riflessione e di conversione. Egli fermamente credeva che lo sport rivestisse un’importanza fondamentale quale veicolo di fratellanza, di pace e di convivenza tra i popoli. ”Occorre essere disposti – disse – a chiedere perdono per quanto nel mondo dello sport si è fatto o si è omesso, in contrasto con gli impegni assunti nel precedente Giubileo”. Il messaggio del Papa era diretto in particolare ad uno sport che tutelasse i deboli, senza escludere nessuno, che liberasse i giovani da indifferenza ed apatia, suscitando sano agonismo; uno sport che fosse occasione di emancipazione dei paesi più poveri, che aiutasse a cancellare l’intolleranza e a costruire un mondo più fraterno e solidale, che facesse amare la vita, che educasse al sacrificio, al rispetto, che portasse alla valorizzazione di ogni persona umana. Rendiamo il nostro omaggio ad un grande comunicatore, che abbiamo visto durante i suoi innumerevoli viaggi, pellerossa tra i pellerossa, indio tra gli indios, campesino tra i campesinos, con una corona di fiori al collo alla maniera orientale. Si è sempre voluto immedesimare con i più deboli, i più emarginati, i derelitti del mondo, indossando i loro stessi abiti e scendendo in mezzo a loro a portare un messaggio di speranza. E così ha fatto anche da sportivo, da uomo che ha sempre praticato lo sport, ha voluto portare il suo messaggio di speranza a favore dei più deboli e il suo monito ai potenti. Addio “Karol”. –

* corrispondente dell’AGENPP-PRESS -Agenzia stampa quotidiana dell’Academia Gentium Pro Pace (Roma) 03.04.2005.

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Marcel Vulpis

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