Big Five UEFA: la Serie A prima per numero di calciatori stranieri
(di Davide Pollastri) – La Serie A si distingue tra i principali campionati europei per l’elevata presenza di stranieri: 384 giocatori su 569 (il 67,5% del totale). Superata, seppur di poco, la Premier League, dove i ‘foreign players’ sono 366 (il 67,4% dei tesserati). Seguono poi la Ligue 1, con 293 calciatori non francesi (il 61,8%), e la Bundesliga, dove gli atleti provenienti dall’estero sono 272 (il 54%). A capovolgere la tendenza è LaLiga: in Spagna sono ancora i talenti locali a primeggiare, con soli 204 stranieri su 495 giocatori (pari al 41,2%).
In Serie A, 384 giocatori su 569 sono stranieri (provenienti da 72 Paesi). A dirlo è Transfermarkt, che precisa come 38 di questi 384 professionisti arrivati da oltre confine siano francesi (il 9,9% del totale). Ma le note dolenti per chi auspica una Serie A più italiana non si esauriscono qui: se nel 2005/2006 i calciatori italiani giocavano 7 minuti su 10, oggi — come scrive Franco Vanni su La Repubblica — la proporzione è all’opposto. Nel girone d’andata del campionato in corso, infatti, il 66,9% dei minuti è stato giocato da stranieri, con una crescita del 4 per cento rispetto ai primi mesi del campionato precedente. Ma come si è arrivati a questa situazione? La sentenza Bosman, emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 15 dicembre 1995, ha certamente avuto un ruolo decisivo. Questa non ha solo stabilito che le norme che impedivano ai calciatori di trasferirsi gratuitamente alla scadenza del contratto erano incompatibili con il diritto comunitario, ma, di fatto, ha proibito alle leghe di porre un tetto al numero di stranieri (restò in vigore solo il limite per i calciatori extracomunitari). A ciò, nel corso degli anni si sono aggiunti altri elementi, tra cui: gli interessi dei club, che non intendono precludersi la possibilità di concludere operazioni all’estero (soprattutto in quei mercati dove i talenti hanno costi contenuti); lo ‘ius soli sportivo’, normativa entrata in vigore nel 2016 che consente ai minori stranieri regolarmente residenti in Italia almeno dal compimento del decimo anno di età di essere tesserati dalle federazioni sportive con le stesse procedure previste per i cittadini italiani; i vantaggi offerti dal Decreto Crescita (su tutti la detassazione al 50% delle imposte prevista per i lavoratori che trasferiscono la propria residenza in Italia), abrogato a inizio 2024, ma — secondo quanto comunicato di recente dal presidente della Lega Serie A, Ezio Maria Simonelli — pronto a essere sostituito da una nuova norma pensata per aiutare i club.
Seppur con percentuali e numeri più bassi dei nostri, anche le altre principali leghe europee (ad eccezione de LaLiga) sono sempre più globalizzate. A tal proposito, è curioso osservare che anche in Bundesliga la colonia straniera più numerosa è quella francese (in Inghilterra e Spagna, invece, occupa la seconda posizione, superata solo dai brasiliani in Premier League e dagli argentini ne LaLiga). Questo dato ribadisce l’elevato appeal del calcio francese, nonché la capacità della Fédération française de football di creare ed esportare talenti. E qui emerge un punto chiave: il blasone della nazionale transalpina — vincitrice del Mondiale 2018 e finalista in Qatar nel 2022 — non è stato costruito puntando sull’impiego dei giocatori locali nei campionati nazionali. Ne consegue una riflessione: è parzialmente inesatto attribuire le difficoltà della Nazionale italiana alla massiccia presenza di stranieri nel nostro campionato. Se il calcio italiano, da anni, fatica a tornare ai livelli di un tempo, le ragioni vanno ricercate (anche) altrove.