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Roma è vita, non morte! Il messaggio dei manichini impiccati è un danno per l’immagine della Città Eterna

“Meravigliati e stupiti da tanta ottusità, dal sensazionalismo misto all’allarmismo, che anima il giornalismo italiano.
Con la seguente nota, gli Irriducibili della curva Nord Lazio, rivendicano la natura dello striscione apparso questa notte e chiariscono che il tutto va circoscritto nel sano sfottò che genera il derby capitolino.
Nessuna minaccia a nessun giocatore della Roma, le bambole gonfiabili, rappresentano una metafora che vuole rimarcare lo stato depressivo in cui versano i tifosi e i giocatori dell’altra sponda del Tevere.
Si tratta della continuazione e non della fine, di un sano sfottò che si protrae gia da tre Derby, l’invito alla luce accesa è per evitare che di notte gli incubi possano disturbare i loro sonni, come accade dal 26 Maggio 2013.
Non riteniamo scusarci con nessuno in quanto, seppur di cattivo gusto per alcuni, rientra tutto nel sano diritto a deridere l’avversario calcistico di sempre.

Questo comunicato nasce dall’esigenza di rispondere e tutelarci, da una stampa attenta a strumentalizzare, allarmare e mistificare piuttosto che limitarsi a fare un’informazione chiara e corretta…
Arrivederci al prossimo incubo….”
IRRIDUCIBILI LAZIO CURVA NORD .

Con queste parole il coordinamento degli “Irriducibili Lazio Curva Nord” ha rivendicato  l’oltraggioso messaggio notturno di appena 24 ore fa, quando appunto uno sparuto gruppo di tifosi della Lazio ha fatto scivolare da un ponte che affaccia sul Colosseo (simbolo della città di Roma) uno striscione (l’unico aspetto mi permetto di dire – di sano sfottò – altri non ne vedo, anzi), ma, soprattutto, ha fatto “penzolare” quattro manichini, con tanto di maglia della AS Roma (con i nomi per esempio di Daniele De Rossi), come se fossero dei condannati all’impiccagione (non a caso sono stati legati al ponte con quattro corde). Se gli “Irriducibili” si fossero fermati allo striscione (“Un messaggio senza offesa – dormite con la luce accesa”) nessuno avrebbe detto nulla, stampa compresa. La stampa, per la cronaca, nasce proprio per raccontare il presente e far riflettere l’opinione pubblica, non per restare silente.

E qui la riflessione è una sola: Roma è ormai condannata, da tempo, in tutti i settori (non ci meravigliamo assolutamente che quest’ultimo episodio tocchi lo sport) ad un graduale, ma veloce declino. Quello che non capiscono gli Irriducibili è che questa immagine nefanda dei giocatori della Roma “idealmente” impiccati, purtroppo, ha fatto il giro del mondo e abbiamo fatto tutti quanti noi cittadini (romanisti, laziali o anche non appassionati assolutamente di calcio) una figuraccia di portata unica.

Roma è simbolo unico di vita, è storia leggendaria, non può essere legata a questa immagine orrida di quattro manichini che penzolano da un ponte che affaccia sul simbolo di Roma: ovvero il Colosseo.

La DIGOS ha aperto una indagine per “procurato allarme”, ma qui il problema è molto più profondo, tocca l’ambito culturale della società considerata nel suo complesso. Il tifo legato al calcio sta degenerando da tempo, altrimenti non vedremmo tutte queste forze dell’ordine presidiare gli stadi di tutta Italia. Se non ci fossero poliziotti, carabinieri, polizia comunale, guardia di finanza e perfino in altri tempi la forestale (oggi sotto l’egida dei Carabinieri) ci sarebbe un morto e decine di feriti a partita. Provare per credere.

Perché tifosi appassionati della loro squadra del cuore sono ormai “incapaci” di stare con le mani nei pantaloni, o di evitare di uscire di casa armati (di coltelli, pugni di ferro e talvolta anche asce)? Più in generale perché non riescono a viversi serenamente una giornata di sport?

Il tifo (non tutto per fortuna) in molte sue aree è, ormai, una piattaforma di sfogo per le frustrazioni della società italiana. Lo stadio e le zone antistanti diventano luoghi dove esaltare il proprio odio verso l’altro e i continui accoltellamenti (la ormai popolare “puncicata“), di questi ultimi anni a Roma, sono i capitoli di un film horror, altro che l’incubo giallorosso di cui parlano gli Irriducibili nello striscione. 

La domanda sorge spontanea: quando si metterà fine a questa vergogna cui assistiamo ogni domenica non solo a Roma? Quando vedremo stadi italiani pieni di bambini, giovani e famiglie, piuttosto che di Ultras? 

Questo episodio non macchia solo una tifoseria incolpevole (quella biancoceleste) o umilia quella dell’altra sponda del Tevere (quella giallorossa), infanga purtroppo l’immagine di una città bellissima che tutto il mondo ci invidia, ma ogni giorno mostriamo a questo mondo immagini sempre più brutte della Città Eterna ed è ancor più grave che ciò arrivi dall’universo dello sport, che è, invece, una piattaforma di rispetto, di regole, di educazione, non di odio, incubi o cose ancor peggiori.

Quando il calcio italiano sarà “liberato” da questa oppressione imperante, dal governo di pochi sui molti? Quando questa città si mostrerà di nuovo al mondo con immagini di vita e splendore, e non con foto da “Arancia Meccanica”? Quando le forze libere, sane ed evolute di questa città, patrimonio dell’umanità, si ribelleranno a questo declino? E’ possibile che non ci sia una “voce”, un “uomo”, una “donna”, una “personalità” di livello capace di dire: Basta con questo schifo e riprendiamoci la nostra città, liberandola da chi, di volta in volta, la utilizza per fini personali senza mai valorizzarla? Anzi distruggendone una immagine millenaria di vita e splendore.

Roma è vita, è storia, è leggenda, non è morte, degrado, povertà culturale. Chi non lo capisce non merita di viverci. Dovrebbe essere “daspato” non dall’Olimpico, ma da questa città, perché non ha capito il privilegio di esserci nato e viverci. 

Mi aspetto, pertanto, un messaggio forte da parte delle istituzioni (tutte nessuna esclusa), perché questo fatto vergognoso e increscioso non può finire come una semplice “carnevalata” notturna da 1° aprile. Sarebbe troppo facile e banale. Ciò sarebbe vissuto, dalla parte sana della società come un ulteriore messaggio di “disimpegno” dello Stato, sempre meno attento a ciò che avviene nella sua comunità. 

 

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