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Rivoluzione nel calcio femminile italiano. Lo status sarà “Pro”

(di Giuseppe Berardi) – A partire dalla prossima stagione sportiva, verrà introdotto il professionismo nella Serie A femminile. Una svolta epocale per il movimento, attesa dalle calciatrici da moltissimo tempo. La strada era già tracciata, la data del 1° luglio 2022 si conosceva già, ma adesso è più che ufficiale, con il Consiglio Federale della FIGC che ha adottato le norme che consentiranno l’introduzione del professionismo nella massima serie femminile.

Quella calcistica è la prima federazione sportiva in Italia a riconoscere lo status di professioniste alle atlete donne. Le uniche discipline professionistiche attualmente nel nostro paese, infatti, sono tutte maschili.
Un traguardo un tempo sognato dalle calciatrici ma che è stato fortemente voluto negli ultimi anni da Sara Gama e colleghe. Anni di sacrifici e lotte per veder riconosciute tutele, ma anche diritti troppo spesso ignorati dall’ordinamento sportivo.

Il professionismo in Serie A femminile è l’ultimo di una serie di interventi, attuati dalla FIGC, rivolti alla crescita e allo sviluppo del calcio delle donne.
In precedenza, c’è già stato il cambio di format per la Serie A con la nuova formula che prevede una regular season, fatta di 18 giornate, e successivamente una suddivisione in due gruppi, in base alle posizioni in classifica, per decidere chi vincerà il titolo e chi retrocederà nella serie cadetta. Un cambio dettato dalla riduzione del numero di partecipanti, da 12 a 10, per aumentare il numero di partite e migliorare la competitività del torneo.

Ci saranno dunque una poule scudetto e una poule salvezza. Due gruppi formati da cinque squadre ciascuno che darà vita a due gironi all’italiana con gare di andata e ritorno. Alle diciotto partite che ogni squadra disputerà nella stagione regolare, se ne aggiungono altre otto, per un totale di ventisei. Nella prima poule le prime cinque classificate, nella seconda le ultime cinque. Ma il mini campionato della seconda fase inizierà con i punti ottenuti da ogni club nella regular season.

È la prima volta che un format come questo viene introdotto in un campionato calcistico italiano.
Con l’avvento del professionismo le società di calcio vedranno sicuramente lievitare i costi, non solo quelli del personale, ma anche di gestione. È stato stimato infatti che i costi delle squadre femminili possano aumentare del 60% con punte anche dell’80%. L’impatto maggiore si avrà nelle spese per il personale tesserato.

L’introduzione di un tetto minimo di ingaggio, 26 mila euro lordi annui, farà aumentare considerevolmente i budget dei club. Inoltre, come spiega Tiziana Pikler su L Football, per iscriversi al prossimo campionato le società dovranno versare una fideiussione di 80 mila euro e disputare le gare casalinghe in uno stadio da almeno 500 posti.
Il professionismo porta con sé vantaggi (tanti), ma anche dei sacrifici in termini economici.

La scelta della riduzione del numero di partecipanti alla Serie A è stata una scelta dettata anche da principi di sostenibilità.
C’è da dire però che il budget annuale di una società calcistica professionistica di prima fascia della Serie A femminile incide meno dell’1% del fatturato totale. È vero che il calcio italiano non se la passa bene dal punto di vista economico e finanziario ma per un top club maschile, la sezione femminile pesa veramente pochissimo sui conti in bilancio. Discorso diverso invece per i piccoli club, ma soprattutto per le società dilettantistiche che non hanno alle spalle un club professionistico maschile. Attualmente in Serie A solo Napoli Femminile e Pomigliano non hanno legami col calcio maschile. Entrambe le squadre sono in lotta per non retrocedere ma una delle due, se non tutte e due possono conquistare la salvezza. Inoltre, in Serie B al comando c’è il Brescia, altra squadra non affiliata al maschile, che in caso di promozione, si troverebbe ad affrontare un esborso economico non indifferente per competere nella massima serie.

Ecco che per queste squadre, ma anche per altre come Empoli e Sampdoria, la sostenibilità economica del professionismo richiederà qualche sforzo in più.
Il calcio femminile ha tracciato una strada, ha avviato un percorso ambizioso, sicuramente storico, ma servono investimenti. Non bisogna ripetere gli errori del maschile, soprattutto in tema di impianti e stadi. C’è bisogno di attrarre pubblico sugli spalti, avvicinare gli sponsor e vendere bene i diritti audiovisivi. È un circolo virtuoso, perché se aumenta il pubblico e l’interesse verso questa disciplina, aumenteranno anche i ricavi a beneficio dell’equilibrio economico e finanziario.
Tutto questo porterà senz’altro anche a un aumento del numero delle tesserate. Un dato questo, che vede l’Italia molto indietro rispetto agli altri paesi Europei dove il calcio femminile gode di un maggiore interesse.

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Redazione

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