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Ghiretti (SG Plus): Costruiamo nuovi stadi, ma con l’occhio rivolto ai bisogni dei tifosi

Quando si parla di impiantistica sportiva, il “benchmark” di riferimento è l’Allianz stadium, ovvero la “casa” della Juventus FC. Una struttura che genera, di anno in anno, crescenti ricavi per il club bianconero. Ma se analizziamo l’intero settore, appare, immediatamente, che costruire nuovi stadi, o anche soltanto ristrutturare, non è impresa facile nel nostro Paese. Ne abbiamo parlato con Roberto Ghiretti, fondatore di SG Plus, sport advisor di assoluto livello del mercato tricolore.

  1. Il Presidente dell’Uefa, Alexsander Ceferin, di recente, ha posto l’accento sull’obsolescenza dell’impiantistica sportiva tricolore. Da troppi anni se ne parla, ma sono soltanto quattro quelli nuovi e/o riammodernati. Molti addetti ai lavoro, tra l’altro, sostengono sia necessario ripartire proprio dall’impiantistica sportiva.  R: Sono diversi i progetti in divenire sul territorio italiano. L’ex presidente della Lega B, Andrea Abodi, ha lavorato bene su questo aspetto di criticità del settore, e potrebbe lavorare bene anche nel futuro, essendo stato nominato nuovo n.1 dell’Istituto per il Credito Sportivo. Guardando alla “fotografia” del Paese, per realizzare un impianto nuovo serve, innanzitutto, una governance molto stabile e strutturata. Certamente questo non può avvenire con proprietà “mordi e fuggi“, come è successo in molte piazze, anche nel recente passato.
  2. Perché, ancora oggi, gli stadi sono considerati un costo e non un investimento da parte dei presidenti di calcio? R: E’ importante che lo stadio sia considerato come una reale forma di investimento. Servono anche studi di fattibilità concreti. Nei tempi passati molti club italiani sono stati gestiti attraverso forme di “mecenatismo“. Oggi questo modello non è più percorribile. Andiamo sempre più verso un’idea concreta di aziende-calcio come vere e proprie imprese. Soprattutto, serve una “considerazione” diversa della figura, del ruolo del tifoso, nel calcio moderno. Ben vengano stadi e progetti nuovi, ma servono investimenti veri, con ricadute sociali, a partire dai territori.
  3. Dal vostro osservatorio privilegiato, quanti sono i nuovi progetti collegati all’impiantistica calcistica?  R: Sono circa una decina, tra serie A e B. Ma il tema è un altro: ovvero quale peso dare alla presenza del pubblico all’interno di queste strutture. Nella nuova legge sulla redistribuzione dei diritti tv (dove si parla di calcio e non solo, nda), uno dei parametri è la presenza negli stadi, mentre scompare il tema dei “bacini di utenza”, baluardo del decreto Melandri. Ci troviamo di fronte ad un cambio epocale. Servono piani di marketing partecipati e condivisi con i tifosi, nel senso del soddisfacimento dei (nuovi) bisogni.
  4. Serve, quindi, anche molta lungimiranza da parte dei presidenti dei club di calcio. R: Bisogna abbandonare la logica del guadagno immediato e puntare su progetti di medio/lungo termine. Serve un diverso ripensamento del settore. Gli stadi devono rispondere ai bisogni dei tifosi, piuttosto che presentarsi sul mercato come mere opere di edilizia.
  5. Manca, a suo parere, nel mondo del pallone, la cosiddetta “visione di scenario”? R: Talvolta sì. Manca effettivamente una vera e propria visione di scenario, che, invece, è ben presente in quei club con una solidità economica alle spalle ed una governance molto forte. E’ quello che è successo a Torino con la famiglia Agnelli, a Sassuolo con il patron Squinzi, ad Udine con il gruppo Pozzo e a Frosinone con gli interventi, costanti nel tempo, di Maurizio Stirpe. Non a caso sto parlando dei club tricolori, che, oggi, possono contare su impianti di proprietà all’avanguardia. L’altra faccia della medaglia è che molti imprenditori e manager non vogliono spesso rischiare e le proprietà cercano risultati immediati nel tempo.
  6. Abbiamo parlato di stadi obsolescenti. Qual è la fotografia, in generale, degli altri impianti sportivi? R: Se parliamo di palazzetti dello sport ci troviamo ad una situazione strutturale ancora più grave. Nella stragrande maggioranza dei casi disponiamo di realtà multifunzionali, affittate a questa o quella disciplina. Ma anche sulle strutture al coperto bisogna fare delle considerazioni più approfondite. Le città, per esempio, hanno bisogno di strutture, che vivano in base ai bisogni della gente, non solo in concomitanza con lo svolgimento delle gare. Lo sport, d’altronde, non è più quello che abbiamo visto o vissuto anni fa. Un impianto, scoperto o coperto, deve diventare un vero e proprio “polo” di aggregazione sociale.
  7. Questo Paese è cresciuto grazie anche alla filiera degli oratori o dei campetti di quartieri disseminati sui diversi territori. E’ tempo di riscoprire questa “idea”? R: Come sa, da diversi anni, siamo partner strategico del CSI. Proprio per questo riteniamo che oratori e impianti di quartiere siano fondamentali per lo sviluppo sociale di un territorio. Se fossi un’azienda andrei assolutamente ad investirvi, per creare appunto un legame con la comunità presente in ambito locale. Servono, più in generale, progetti di solidarietà diffusa. Da tempo, proprio attraverso il progetto “Junior Tim Cup” (Il Calcio negli Oratori), stanno sempre più sviluppandosi iniziative di “alleanza educativa“. In questa direzione si stanno muovendo molte delle nostre attività di supporto come SG Plus.
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Marcel Vulpis

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