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Coronavirus: l’economia italiana rischia di tornare in recessione

L’epidemia da Coronavirus rischia di mettere in ginocchio l’economia italiana, con ricadute pesanti su alcuni settori strategici del nostro Paese. Quest’anno, prima dell’esplosione del contagio, era prevista una leggera crescita (nella misura del +0,1%/+0,3%) del Prodotto interno lordo (Pil). Un dato non esaltante, ma in territorio positivo dopo anni di recessione.

La diffusione di questo nuovo virus asiatico, soprattutto nell’area del Nord Italia, potrebbe aprire nuovamente le porte alla “contrazione” economica (stimata attorno all’1% nell’arco dei prossimi due semestri). Meccanica, trasporti, ristorazione, turismo e sport, i comparti più colpiti dalla potenziale “decrescita”. Il Paese si sta fermando e le notizie allarmanti sulla diffusione dell’epidemia non aiutano in alcun modo a ripartire. Tra l’altro, le economie della Lombardia e del Veneto (le regioni con il maggior numero di “contagiati”) da sole valgono il 40% del Pil italiano e il 2% dell’Eurozona.

La “zona rossa” coincide con il cuore pulsante della logistica italiana

La “zona rossa”, composta da 11 comuni del triangolo Pavia-Lodi-Cremona e Piacenza, ospita, al suo interno, più di 450 imprese (370 solo nel trasporto terrestre e mediante condotte), ma sono diverse le multinazionali presenti ai confini di questa area (ad esempio Amazon, Ikea, McDonald’s e Unieuro). Immobilizzare la vita pubblica e produttiva, anche per sole 2-3 settimane (un arco temporale certamente non prolungato), può paralizzare il sistema Italia, con ricadute negative per milioni di operatori economici (il ministero dell’Economia e Finanze è al lavoro per predisporre una serie di misure di sostegno).

La Confesercenti, ad esempio, stima una perdita di consumi per 3,9 miliardi di euro e 60 mila posti di lavoro in pericolo. Secondo Confcommercio se la crisi si prolungasse fino al mese di giugno costerebbe al nostro Paese dai 5 ai 7 miliardi di euro.

Ancora più grave la situazione del comparto fieristico. Il Salone del Mobile di Milano (in programma a fine aprile) è stato rimandato a giugno e ora sono a rischio 60 mila posti (l’intero settore genera affari pari a 60 miliardi con presenze annuali stimate in 20 milioni di unità).

Effetto domino sul mercato dello sport (ciclismo a forte rischio)

 Dal 9 al prossimo 31 maggio il Giro d’Italia di ciclismo (giunto alla 103ima edizione) si svilupperà lungo un percordo di 3.580 km, per un totale di 21 tappe (prima prova nel cuore di Budapest e passerella finale a Milano). Ma gli organizzatori della corsa “rosa” sono seriamente preoccupati per lo sviluppo del contagio all’interno della penisola. Cinque le regioni (con particolare attenzione alla Lombardia, Veneto e Piemonte) toccate dall’epidemia, ma le misure di contenimento sanitario si stanno diffondendo (in via precauzionale) anche all’interno di altri importanti territori.

Un danno potenziale per diversi milioni di euro. La macchina dell’evento vale infatti più di 70 milioni di euro, con circa 40 milioni provenienti da diritti tv e sponsor.

Mediamente più di 2,5 milioni di appassionati seguono l’evento lungo le sedi di gara. Proprio quest’aspetto (la forte capacità di aggregazione in concomitanza con le prove su strada) spaventa gli organizzatori, perchè la presenza di così tanti tifosi in aree circoscritte può diventare un potenziale acceleratore nella diffusione del nuovo Coronavirus.

L’eventuale annullamento della kermesse causerebbe però ingenti danni diretti-indiretti per l’intera filiera. Gli sponsor investono sul Giro proprio per entrare in contatto (commerciale) con il pubblico; gli enti locali spendono anche cifre vicine al milione di euro pur di ospitare la partenza o l’arrivo di una tappa, attivando promozioni e azioni di comunicazione nei mesi precedenti l’evento. Prima di prendere una decisione finale (mancano infatti circa 70 giorni alla partenza dalla Capitale dell’Ungheria) ci sarà l’organizzazione di un’altra “Classicissima” del ciclismo: la Milano-Sanremo (il prossimo 21 marzo), con un giro d’affari però nettamente inferiore (non più di 5 milioni di euro) rispetto al Giro.

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Redazione

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