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Bosio (CSI): Siamo dalla parte degli ultimi e dei normali. Vogliamo sempre più sport per loro.

Si terrà domani a Roma la Conferenza strategica e di programmazione del Centro Sportivo Italiano (CSI) con 12 tavoli tematici  di confronto, analisi e approfondimento dal titolo “Se non ora, quando?”. Intende mettere i territori e la base associativa in contatto e dialogo. Ne abbiamo parlato con Vittorio Bosio, Presidente nazionale del CSI.

D: Presidente, come nasce l’idea di lanciare “S-Factor” domani a Roma?

R: L’esigenza nasce dalla necessità di confrontarsi con il territorio e capirne soprattutto i bisogni. Nel frattempo, nel mondo dello sport, stanno cambiando molte norme e leggi. Ciò comporterà delle scelte ben precise. Ci aspettiamo a Roma più di 150 delegati CSI provenienti da tutta Italia. Abbiamo previsto 12 diversi tavoli e prevediamo anche un corso sulla “comunicazione”. Lo consideriamo un incontro per darci delle regole per il futuro, ma non è chiaramente una Assemblea nazionale.

D: CSI, da sempre, ha dei momenti di incontro per riflettere sugli scenari futuri.

R: Assolutamente. Abitualmente il CSI organizza un “momento” di confronto ad Assisi (nel mese di dicembre, nda). E’ un momento storico per il nostro mondo. Per tradizione il CSI non cala mai dall’alto le proprie scelte, che vengono decise e ripensate insieme, partendo sempre dall’ascolto del territorio. E questo, nello specifico, è stato uno dei punti più importanti del mio programma elettorale.

Oggi siamo 1.200.000 tesserati, per un totale di 13.500 società sportive associate, ma coordiniamo anche molti gruppi sportivi “spontanei”, perchè sta crescendo il libero associazionismo sportivo. Siamo dalla parte degli ultimi e dei normali. Vogliamo sempre più sport per loro.

D: Sempre sui temi dello Sport, cosa si aspetta dal prossimo Parlamento e dall’Esecutivo?

R: La politica deve provare a guardare dal basso ciò che sta avvenendo nello sport. C’è da tutelare, soprattutto, lo sport di base, non solo quello di vertice, che è importantissimo, ma non è solo l’unica area su cui investire in risorse e progettualità. Dobbiamo aiutare quelle piccole realtà che danno la possibilità di far fare sport agli “ultimi”. Nell’incontrare, periodicamente, la parte politica si ha la sensazione che ci sia una forte attenzione ai grandi temi, ma non è ancora sufficiente per lo sport di base. C’è da tutelare proprio quest’area, che aiuta tanti giovani a crescere meglio, con forte impatto sul tema della salute (soprattutto se si parla di obesità in età giovanile, nda). Bisogna pensare al bene comune, ma servono anche fatti concreti.

D: Avete previsto 12 panel di confronto. Qual è il filo conduttore di questi interventi?

R: Il fil rouge è sicuramente il volerci concentrare sull’attività giovanile dedicata alle persone “normali”, che praticano sport per piacere, non per agonismo. I tavoli vanno dalla riflessione sulla formazione fino allo sport per i più giovani. Mi permetto di dire: qui siamo nati e qui vogliamo continuare a lavorare. I nostri comitati presenti sui territori devono fare attività focalizzate soprattutto per i cosiddetti “ultimi” e mi spiego meglio: ovvero le persone che non potranno mai fare attività di vertice (senza dimenticare quelle che, ogni giorno, attiviamo a favore di soggetti immigrati, carcerati, diversamente abili o per gli indigenti). Queste persone devono avere le stesse opportunità che ha il resto del mondo sportivo. Ci rivolgiamo così ai normali, alle persone, ai cittadini di tutti i giorni, della “porta accanto”. Lo sport può dare una bella mano insieme con altre realtà educative, anche e soprattutto nelle periferie.

D: Alla luce anche del risultato delle ultime votazioni (avvenute lo scorso 4 marzo), cosa vi attendete dal mondo della Politica nei primi mesi della prossima legislatura?

R: Si parla spesso delle risposte della politica nei confronti dei cittadini nei primi 100 giorni di attività, così come da parte del Governo. Nella realtà siamo consapevoli che ci vorrà molto più tempo, prima di poter vedere qualcosa di concreto, che vada nella direzione da noi auspicata come Ente di Promozione Sportiva. Fatta salva questa premessa, serve un provvedimnto organico per le piccole società, non solo le classiche ASD. Penso, per esempio, alle realtà parrocchiali. Servono normative certe e chiare, dove non ci sia la possibilità di interpretazioni a seconda del territorio di riferimento. Sono realtà che vogliono fare sport senza correre rischi. Dobbiamo salvaguardare il volontariato sportivo, che rischiamo di perdere o vedere decrescere come impegno nel tempo. I ragazzi trovano spesso “casa” in queste realtà, ecco perchè c’è tutto un mondo che deve essere tutelato e salvaguardato.

D: Come è andato il rapporto con il Ministero dello Sport, guidato da Luca Lotti?

R: Direi bene nel complesso. Sono state fatte tante cose e c’è stata una forte attenzione da parte di Lotti. Certamente, nel futuro, serve la nascita di una struttura ministeriale, che vada oltre l’attivismo del singolo ministro di turno. Abbiamo bisogno, come EPS, di confrontarci con uffici che seguano determinate tematiche costantemente. Il ministero in esame deve promuovere lo sport come “funzione sociale”, nel futuro. C’è bisogno di attività di back-office in modo organico, con la realizzazione di norme chiare e semplici, la cui applicazione dovrà essere seguita passo dopo passo. Non è sufficiente solo studiare le norme, se poi non c’è qualcuno che segue la loro applicazione nel concreto, magari intervendo con correttivi successivi. Ci diano gli strumenti, poi, per far lavorare in tranquillità le società sportive di periferie o presenti nei piccoli centri.

D: Lo sport italiano riceve dal Governo mediamente oltre 410 milioni di euro annui. C’è chi dice che, per far decollare lo sport, servirebbero risorse superiori ai 2 miliardi di euro. Lei cosa ne pensa al riguardo?

R: Non credo che attualmente la politica abbia la forza e il coraggio di fare un investimento del genere (2 miliardi, nda), ma sarebbe già un grandissimo risultato se si arrivasse, per esempio, nel tempo, ad un 1 miliardo di euro. Noi addetti ai lavori festeggeremmo l’evento, mi creda. Il problema vero è che, ancora oggi, molti vedono le risorse destinate allo sport come una “spesa”, non come un investimento per il futuro. Pensate solo al tema del risparmio sulla spesa pubblica in termini di salute. Siamo sicuri che il risparmio presente e futuro (già solo in termini di spesa sanitaria sul SSN) sarebbe inferiore ai 2 miliardi di euro? Detto ciò è importantissimo il ruolo del CONI, che è sempre molto attento sul tema, a partire dall’impegno del presidente Giovanni Malagò, sempre in prima linea. 

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Marcel Vulpis

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