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Stadi di calcio: la riapertura è una boccata di ossigeno per i club

La riapertura degli stadi è un’istanza che arriva a gran voce dall’universo dei tifosi, ma soprattutto potrebbe trasformarsi in un concreto supporto economico per i club di calcio.

L’obiettivo del Governo Conte inizialmente era permettere, a breve, una capienza fino al 25% (all’interno delle strutture).

Ieri, nel frattempo, è arrivato, da parte del Comitato tecnico scientifico (Cts), il “no” all’apertura degli impianti. Bisognerà attendere almeno metà ottobre dopo che saranno analizzati i dati di crescita della curva epidemiologica.

La situazione degli impianti di calcio. Analizzando i dati di capienza degli stadi della massima serie ci troveremmo con un San Siro (78.275 posti a sedere in caso di tutto esaurito) in grado di ospitare almeno 19.568 spettatori, passando poi all’Olimpico di Roma (72.698), poco sotto come numeri (18.174), o ancora per al San Paolo di Napoli (56.000), in grado di accogliere 14.000 fan partenopei. Al quarto posto l’Artemio Franchi di Firenze (43.234), con 10.800 posti, e al quinto, in questa ideale classifica, l’Allianz stadium di Torino (41.507), pronto a ospitare almeno 10.376 supporter bianconeri. Fanalino di coda per il neo promosso Spezia, che giocherà la prima gara (contro il Sassuolo) all’Orogel stadium-Dino Manuzzi di Cesena, per tornare successivamente all’Alberto Picco di La Spezia, dove la capienza prevista è di 10.336 posti (per un massimo di 2.584 tifosi).

E’ inutile nascondersi dietro al dito. Dietro il pressing per la riapertura degli stadi c’è in gioco la “partita” degli accordi di sponsorship. Riaprire gli impianti, fino al 25%, infatti, sarebbe un segnale importantissimo per iniziare a recuperare il 10-12% annuo collegato alla voce ticketing. Oltre a ciò, questa misura del Governo tutelerebbe (al termine del campionato) i club di calcio dall’eventualità di contenziosi o compensazioni, nel confronto con le aziende partner (ciò determinerebbe di fatto una perdita certificata per le aziende calcio).

L’ok del Cts, dopo quello ottenuto nella Conferenza delle Regioni, era quindi fondamentale per dare “ossigeno” alle casse dei club (dalla serie A fino ai campionati minori). Il problema è generale e molto sentito da tutte le realtà sportive.

Per comprendere i rischi di un campionato ancora a porte chiuse è sufficiente analizzare alcuni dati: 215 milioni di euro, la stima dei mancati guadagni per i contratti di sponsorizzazione e 98,1 milioni se si analizzano i ricavi da stadio (il cosiddetto “botteghino”).

Quanto vale la “torta” del pallone. Il giro d’affari del pallone tricolore ruota attorno a 5 pilastri: diritti tv (1,4 miliardi di euro), sponsorizzazioni (1,3 miliardi), plusvalenze cessioni giocatori (800 milioni), biglietteria e abbonamenti (400 milioni) e altri ricavi (1,1 miliardi). Questi numeri, collegati alle entrate della Serie A nella stagione 2018/19, sono ancora più significativi se si analizza il valore socio-economico dell’industria calcio. L’impatto sul Pil, in termini di ricavi e costi, nel 2016 (ultimo dato disponibile) è stato di 7,4 miliardi di euro, con un peso percentuale pari allo 0,51%. Un comparto, tra l’altro, che occupa più di 89 mila addetti, senza considerare i ritorni garantiti per le casse dello Stato (le tasse generate, su base annua, sono pari a 1,7 miliardi di euro).

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Redazione

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