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NBA, ecco l’eredità di Kobe Bryant: “La Nike farà tutto il necessario ma con dignità”

(di Marco d’Avenia) – Il 26 gennaio scorso un elicottero con a bordo Kobe Bryant (nella foto in primo piano), sua figlia Gigi (13 anni) e sei amici di famiglia si schiantò vicino Calabasas (California). Tutto il mondo rimase attonito alla notizia della morte di “Black Mamba”. Da allora, come spesso accade coi personaggi famosi, le vendite dei prodotti legati alla sua figura sono schizzate alle stelle. Ora, a un anno dalla morte dell’ex asso NBA, possiamo quantificare, con l’aiuto di “Forbes“, l’eredità lasciata da Kobe.

Dopo due giorni dal tragico incidente, le sneakers sponsorizzate da “Black Mamba” erano già sparite dagli scaffali e dai siti di e-commerce. Stessa sorte è toccata all’autobiografia “The Mamba mentality. Il mio basket” (edito in Italia da Rizzoli), che ha praticamente decuplicato le proprie vendite rispetto al 2019. Anche le piattaforme di “reselling” (dove si reimmettono sul mercato merci già acquistare) avevano in poche ore esaurito ogni articolo riguardante Kobe Bryant, con gli ultimi pezzi acquistati a cifre superiori ai 1.000$.

Fin da queste prime avvisaglie era chiaro che “Nike”, sponsor tecnico personale dell’ex stella dei Los Angeles Lakers, avrebbe tratto profitti enormi dalla morte di Kobe Bryant. Ipotesi confermata da un portavoce della multinazionale americana che ha affermato: “Continueremo ad onorare la memoria di Kobe attraverso operazioni di marketing che ne possano ravvivare il ricordo”. Questa frase potrebbe far storcere in naso a molti, ma John Kernan, analista per il fondo d’investimento americano “Cowen”, rassicura tutti:  “Nike sarà rispettosa e misurata in quello che farà. Sa gestire momenti delicati come questo e i dirigenti sanno come rimanere autentici e allo stesso tempo fare marketing con dignità“. Stando a quanto afferma “Forbes”, “Nike” annualmente raccoglie circa 250 milioni dalla commercializzazione dei prodotti targati Kobe Bryant e si è assicurata rendite per gli anni a venire grazie ai “naming rights” sul merchandising.

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Redazione

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