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il marciatore altoatesino Alex Schwazer è tornato a far sentire la sua voce

Dopo la sentenza del Tribunale di Bolzano che ha archiviato del procedimento penale a suo carico e l’ospitata al Festival di Sanremo, la medaglia d’oro a Pechino 2008 si è prestato, affiancato dal suo allenatore Sandro Donati, a una lunga chiacchierata online con i soci del Panathlon Club Milano. Sollecitato dal giornalista Filippo Grassia, presidente del club service meneghino, Alex Schwazer (nella foto in primo piano) è parso sereno e deciso. “Non chiedo di essere riabilitato, ma di essere nuovamente giudicato da un organo di giustizia sportiva. Per il momento abbiamo già ottenuto una grande vittoria dopo 4 anni di battaglia legale. Adesso sogno di fare questa benedetta gara”.

Per poter continuare nella sua battaglia, però, Schwazer vuole un segnale forte e chiaro. “Sono pronto personalmente a fare ricorso, ma la questione è se anche le istituzioni italiane lo sono. Devo avere al mio fianco anche CONI e Fidal. A Pechino, appena tagliato il traguardo, erano tutti amici e vicini. Ora è il momento di tornare a esserlo non solo a parole. Se facessi ricorso da solo e dovessi vincerlo, potrei tornare a gareggiare e se dovessi vincere una gara non sopporterei di avere di nuovo tutti intorno a dire ‘ti siamo sempre stati vicini’. Aspetterò ancora qualche giorno e poi vedrò. Se CONI e Fidal mi ci saranno potremmo anche perdere, ma almeno l’avremmo fatto insieme. Occorre dimostrare che le istituzioni sportive italiane non ignorano la decisione presa da un magistrato per dimostrare che siamo un paese serio. Dopo tutto, la WADA riceve 1 milione di dollari all’anno dal nostro governo e solo altri tre paesi pagano di più”.

Schwazer non ha usato giri di parole a proposito della massima istituzione antidoping al mondo. “IAAF e WADA hanno detto che non posso tornare a gareggiare, ma non è la IAAF che può decidere. La WADA, poi, dovrebbe definire una linea precisa. Quando la magistratura in passato ha svelato casi di doping, sono stati presi provvedimenti dalla WADA. Senza questo modo di agire Armstrong sarebbe ancora il re del Tour de France. Non capisco perché in caso contrario, quando un magistrato scagiona qualcuno, la WADA non ne debba tenerne conto”.

Con un salto indietro di quasi 5 anni, Schwazer ha ripercorso i primi momenti della vicenda iniziata nell’estate del 2016. “Quando mi è stata notificata la positività è stato uno shock così forte che non ricordo più nulla di quanto è successo nelle ore successive. Ho ritrovato un po’ di lucidità solo quando, alla sera, con Sandro ci siamo messi a leggere i documenti. In quel momento c’erano solo due spiegazioni. Poteva esserci un errore o uno scambio non voluto di provetta, oppure poteva esserci la volontà a farmi questo. Non sapevo di fronte a quale delle due possibilità mi trovassi, ma ero certo che fosse una delle due. Inizialmente ero spaesato, ma quando sono emersi più dettagli ho avuto la certezza che fosse una cosa studiata”. Una certezza confermata da altri particolari. “Anche l’aspetto temporale è stato molto pesante. La IAAF, infatti, ha avuto notizia della presunta positività il 13 maggio, ma a noi è stata comunicata solo il 21 giugno in modo da rendere più stretti i tempi per la difesa prima delle Olimpiadi. Questo ci ha costretti a saltare la prima istanza di difesa. Un’altra anomalia è dovuta dal fatto che il TAS ha deciso, su pressione della IAAF, di affrontare la questione in maniera anomala a Rio. In seguito, infatti, è emerso che il caso andava trattato a Losanna e non in Brasile perché non si trattava di un caso olimpico. Prova ne sia che il dibattito non è stato fatto, come da prassi per i casi inerenti ai Giochi, all’interno del Villaggio olimpico, ma nello studio di un anonimo avvocato. Tutti mi hanno detto che non ci sarei dovuto andare fino a Rio perché non mi sarei potuto difendere in modo adeguato. Ma io, da atleta, volevo crederci fino in fondo perché non avevo fatto niente, altrimenti avrei aspettato la normale procedura”.

Con grande serenità Schwazer ha le idee piuttosto chiare per il futuro. “Mi auguro che si faccia la revisione e che l’Italia delle istituzioni dimostri di essere al fianco di un atleta non solo quando vince, ma anche in situazioni come questa. Io ho vinto un oro nell’atletica anche per CONI e Fidal. E un oro nell’atletica per l’Italia è una cosa rara, non siamo gli Stati Uniti. Dopo di me non ce ne sono stati altri. Ho 36 anni e non sono ancora così vecchio. Spero di fare ancora qualche gara perché Sandro e io abbiamo speso tantissime ore dal 2015 in poi. Sarebbe bellissimo. Dal punto di vista privato questi ultimi anni sono stati belli. Sto bene e sono contento perché sono riuscito a reinventarmi anche dal punto di vista professionale. Faccio un’attività molto bella con dei podisti amatoriali e gioisco per ogni piccolo progresso che fanno. Questa cosa mi ha aiutato molto”.

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