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Sporteconomy taglia il traguardo del decimo anno di informazione giornalistica

Fino al 2004, infatti, si parlava molto raramente di economia e politica dello sport, quasi fosse un’anomalia o un fastidio farlo (per addetti ai lavori e non). Oggi è normalità, anzi tutti i quotidiani generalisti o sportivi (in primis Corriere dello Sport e Gazzetta dello Sport) cercano sempre di trovare una chiave di lettura in questa direzione. Una direzione che abbiamo tracciato come Sporteconomy proprio 10 anni fa (e ancor prima, a titolo personale, sul quotidiano ItaliaOggi dal 1992 al 2013, per il quale mi onoro di aver lavorato sempre sulle stesse tematiche). Se dovessimo fare un “parallelo” ci sentiamo molto vicini all’impegno culturale messo in campo da Radio Radicale, in un altro campo (quello dell’informazione parlamentare), ma con la stessa passione ed intuizione. Un paese cresce se c’è uno sviluppo culturale e l’informazione ha un dovere morale che va anche oltre i meri aspetti deontologici di categoria. 

In questi primi due lustri abbiamo raccontato storie giornalistiche che, altrimenti, sarebbero andate perse, o abbiamo puntato l’indice su storture del mondo dello sport-business sfuggite ai più, oltre che agli addetti ai lavori. Siamo stati severi “watchdog” non facendo mai sconti a nessuno. Talvolta schierandoci, sì, perché, oltre informazione, ci piace fare opinione, ma sempre dalla parte della verità e della giustizia/moralità. Solo con il confronto e il dialogo si porta il grande pubblico o una categoria (quella del mondo dello sport) a crescere. Lo crediamo fermamente.Siamo stati informazione, ma anche opinione e formazione, in un mondo, quello dello sport, troppo spesso volontaristico e di basso profilo (soprattutto se parliamo dell’Italia). Le sfide dei prossimi anni impongono una crescita ulteriore di questo variegato mondo dello sport (si parla per esempio della candidatura di #Italia2024 per i Giochi olimpici) ed un maggiore rigore morale, perché sentiamo e vediamo ancora troppe cose strane, soprattutto quando si parla di soldi pubblici, che finiscono, più o meno a pioggia, nel mondo dello sport. Su questo tema saremo ancor più in trincea, segnalando anomalie e ponendo l’indice dove gli altri preferiscono girarsi, facendo finta di non vedere. In questo Sporteconomy era, è, e sarà, unica nel suo genere, ultima “sentinella” di un’etica (sportiva e non solo), in un mondo che ancora non la cerca o non la vuole in automatico. Perché dove girano tanti soldi è normale (altrimenti saremmo degli ingenui alla Candide di Voltairre) che si possano insinuare furbi, lazzaroni e gente di basso profilo, alla ricerca di posti e di denaro facile. Questo è il nostro impegno nei prossimi anni. 
Tra altri 10 anni (nonostante la crisi e la contrazione del mercato pubblicitario), quando taglieremo un nuovo nastro/traguardo editoriale, finire su Sporteconomy, con una storia o una news, sarà un qualcosa anche di superiore alla tradizionale agenzia giornalistica. Essere raccontati (speriamo in positivo) sulla nostra agenzia sarà un qualcosa che trascenderà la stessa informazione, entrando di diritto nella cosiddetta “brand reputation”. Non faremo sconti a nessuno, amici e meno amici. Perché l’informazione, quella libera, non ha padroni e non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, come recita la carta costituzionale da sempre. Unico timone (almeno per noi) per navigare in questi mari tempestosi dell’informazione. Ai colleghi presenti e futuri lanciamo un’ulteriore sfida: andare sempre oltre ciò che vedono. Cercare e scavare anche quando non ci sarebbe bisogno (ad occhio nudo). Non inchinarsi ai potenti di turno, perché il loro nome (quello dei potenti) non rimarrà, comunque, nella storia di questo paese. Se si ha queste caratteristiche, oltre al tradizionale fiuto per la notizia, allora si è “idealmente” già parte (inclusi i nostri lettori) del mondo di Sporteconomy (quest’anno tra l’altro abbiamo lavorato sia per Rai che per Sky proponendo, come nel caso di “Codice Rosso”, una informazione specialistica unica nel suo genere). Se non lo si è ci sono altri portali o agenzie da consultare, anche se mi sembra che, contributi pubblici per l’editoria a parte (altro scandalo bipartisan, da sempre a danno proprio di strutture indipendenti come la nostra – ci ravviserei quasi un “dumping” editoriale), non giri una bella aria nel settore (visto che sono sempre di più le chiusure rispetto alle aperture). Chiedo ai miei colleghi: chi è ormai quel “cretino” di lettore, che spenderebbe o spende 1,40 euro per acquistare un format cartaceo che dà le stesse notizie che si possono vedere in tv (ore prima) o sui mobile device, in tempo reale? Mi chiedo se gli editori stimino ancora la loro “readership” come la stimiamo noi, da oltre 10 anni. E’ una considerazione palese e visibile a tutti, eppure nessun editore, al di là dei proclami e degli annunci trionfalistici, fa qualcosa per cambiare rotta. Meglio per noi, mi verrebbe da dire, ma sarebbe una triste consolazione. Entro tre anni tutta l’informazione passerà sui mobile devices e la carta sarà solo un ricordo per una “generazione di vecchi”. Contro la tecnologia ci si può anche provare ad opporsi, ma il destino della carta stampata è segnata da tempo. 
Ecco perché, con estremo orgoglio, siamo felici di avere scelto il futuro già dieci anni fa, quando essere pubblicati sul web era più una moda che una convinzione. Su questo investiremo nei prossimi anni, convinti che l’informazione debba avere un rapporto sempre più stretto con coloro che ci leggono e ci stimano. Lanceremo per aprile (in concomitanza proprio con i primi dieci anni di vita dell’agenzia) il progetto di “Sporteconomy Community”, a supporto della nostra agenzia, per un’informazione sempre più libera ed indipendente (puntando su forme di donazioni e crowfunding in stile editoria americana). Che è, appunto, quello che vogliono da tempo gli italiani, stretti tra giornali che spingono a sinistra o a destra, solo per la colorazione più o meno evidente dei loro editori. La gente ha voglia di informazione senza lacci e lacciuoli, cerca notizie e informazione asettica, desidera vedere dei giornalisti che si battono per tematiche che le altre testate snobbano, perché è più semplice essere proni piuttosto che avere la schiena dritta. L’unica promessa che possiamo fare ai nostri lettori per il traguardo del 2024 (quando magari ci sarà l’Olimpiade a Roma) è che non saremo mai proni e andremo a caccia di tutti coloro che cercheranno di fare i furbi in questo paese, e nel mondo dello sport, nello specifico. Grazie a tutti Voi, ancora, per la fiducia accordataci!

(di Marcel Vulpis) – Nel settembre del 2004 nasceva il portale di informazione giornalistica Sporteconomy.it, da me diretto (nell’aprile 2005 ci siamo trasformati in “agenzia stampa”) e co-fondato (insieme al collega Massimo Lucchese). Dieci anni che hanno rappresentanto un periodo molto importante, soprattutto sotto il profilo della crescita culturale del mercato dello sport-business tricolore. 

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Marcel Vulpis

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