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Sassuolo, modello di riferimento gestionale anche per i top club italiani

Piccolo è sinonimo non solo di
bello, ma anche di vincente, soprattutto se si analizza il rapporto tra la voce
ricavi (ad eccezione di quelli
derivanti dai diritti audiovisivi) e il fatturato dei club di calcio di serie
A, al “netto” di plus e minusvalenze da intermediazione di calciatori.

La sfida dei prossimi anni sarà
rappresentata dall’equidistribuzione delle fonti di ricavo, per ridurre
l’esposizione dei conti societari alle fluttuazioni cicliche.

Un modello di riferimento arriva
dal Sassuolo calcio, controllato
dalla Mapei di Giorgio Squinzi (attuale presidente di Confindustria), che
presenta un rapporto pari al 66,79 per
cento, grazie alla sponsorizzazione del  marchio Mapei per più di 15 milioni di euro
(includendovi la titolazione dell’impianto casalingo). Un contratto da top club
italiano ed europeo, che pone la società emiliana ai primi posti di questa
classifica, appena al di sotto di Juventus, Milan ed Inter.

Nei prossimi anni si prevede che
l’intervento “mecenatistico” del patron Squinzi possa ridursi, grazie anche
allo sfruttamento del Mapei stadium di Reggio Emilia (in fase di riammodernamento).
Il Sassuolo del presidente Giovanni
Carnevali (fondatore dell’agenzia di marketing Master grouo) è sulla strada
giusta: autofinanziamento del club, senza considerare i ricavi da diritti
audiovisivi (al di sotto del 35 per cento). In netta controtendenza con il
resto della serie A, dove 10 club (il 50 per cento) dipendono dalla televisione
per oltre il 65.

LA “TELEDIPENDENZA” DEL CALCIO ITALIANO

Il calcio tricolore, da troppi
anni, è legato a filo doppio alla
redistribuzione dei diritti tv, in forte crescita nonostante la crisi economica
del paese. Di recente sono stati siglati i contratti con Rai e Telecom Italia
(per oltre 50 milioni di euro) per la parte relativa agli highlights e ai
diritti Internet (senza considerare quelli legati al mercato estero cresciuti
da 117 a 206 milioni per il triennio 2015/18), con una torta televisiva che
vale 1,1 miliardi di euro, dopo la conferma, da parte della Lega, dell’advisor
Infont.

Nei mesi scorsi, la Juventus ha
guidato una singolare “fronda” interna, cercando di ottenere cifre anche
superiori da reinvestire sul calciomercato estivo (senza dimenticare
l’equilibrio dei conti di bilancio), ma la priorità non sono i ricavi da
diritti audiovisivi, semmai l’individuazione di azioni comuni per far esplodere, in Italia e all’estero, la
leva delle entrate commerciali e del botteghino. Ad eccezione infatti del club
piemontese, del Mapei stadium targato Sassuolo, del rilancio del Friuli sponda
Udinese, o del progetto della Roma, il problema principale è quello degli impianti.
Senza stadi di proprietà moderni e polifunzionali non possono crescere i ricavi
da gare e commerciali. E’ un’equazione matematica, ma in Lega nessuno ne parla.
Il problema, fino a qualche mese fa, erano appunto le entrate tv, praticamente
l’unico fronte positivo dell’industria del pallone.

Soprattutto, nessuno cerca di
attivare azioni comuni per muoversi come un unico soggetto. E’ arrivato in
soccorso dalla cadetteria il progetto “B
Futura” (la piattaforma consulenziale ideata dal presidente Abodi, per chi
intende costruire o ammodernare stadi), ma i presidenti della massima serie
perseguono, da troppo tempo, solo i propri interessi, senza considerare
l’importanza di una cabina di regia.

 

SERIE A: RICAVI ASFITTICI. JUVE E MILAN “REGINE” DI RICAVI.

Ad eccezione del Sassuolo (primo
in questa classifica speciale), i club più virtuosi sono quelli top, strutturati con aree
marketing/vendite, spesso affiancate da advisor commerciali, come nel caso di
Inter e Milan (affidatesi ad Infront).

Il Milan è al secondo posto, con
una percentuale del 51,53 per cento, seguito dall’Inter al 50,55 per cento.
Subito dietro la Roma (46,51 per cento) e la Juventus (45,95 per cento), che
mantiene il primato del volume d’affari. Incassa infatti 128,38 milioni contro
i 127,13 milioni del Milan. L’Inter si presenta con 78,12 milioni, mentre il
Napoli è fermo a 60,52 milioni di euro   (la
Roma “americana” al quinto posto con 59,75 milioni). Fiorentina, Lazio e
Udinese presentano dati compresi tra i 26 ed i 28 milioni. Sopra il tetto dei
20 miioni sia il Parma (22,27), sia il Sassuolo (21,16). Il resto del plotone è
in area 15 milioni di euro di ricavi medi, con percentuali tra il 30 e il 34
per cento. Fanno riflettere le situazioni di Sampdoria e Chievo. I liguri
presentano entrate per 9,45 milioni e una percentuale pari al 22,33 per cento
(record negativo della serie A), i veronesi hanno una percentuale migliore
(26,73 per cento), ma, in termini assoluti, i 9,18 milioni di euro sono il vertice
basso del campionato.

Più in generale risulta evidente
che la voce ricavi è il punto debole di tutti i club italiani e la situazione è
ancor più grave se si considera che i numeri sviluppati comprendono la voce
“altre entrate”, dove finiscono i contributi Lega (per esempio i premi della
coppa Italia) o Uefa (come nel caso
della Juve, organizzatrice della finale di Europa
league), i ricavi da archivi televisivi, le entrate da prestiti calciatori
o lo sfruttamento di diritti di immagine.

Non devono infine ingannare i
dati assoluti/percentuali di Cesena (in B nella scorsa stagione), totalmente
legato ai soli ricavi commerciali (i diritti tv sono praticamente residuali),
del Verona (i dati fanno riferimento ancora alla stagione in seconda divisione)
o del Palermo (il bilancio esaminato non prende in considerazione la discesa in
B), con un 36,57 per cento “contaminato”
dalla torta dei diritti televisivi di A.

 

 

 

Edipress/Sporteconomy

A sorpresa nella classifica dei club meglio gestiti della serie A italiana non vi è un top team, bensì il “piccolo” Sassuolo. Il Corriere dello Sport ha spiegato nelle ultime settimane la ragione di questa singolare leadership. 

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Marcel Vulpis

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