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Report Glms su sport e sponsorizzazioni. Due squadre di calcio su tre hanno accordi con cookies

Due squadre su tre nei principali campionati europei di calcio, nell’Eurolega e nella Nba di basket, hanno accordi di sponsorizzazione con società di giochi e scommesse: è quanto emerge da un’analisi sui siti ufficiali di 188 team professionistici condotta da Global Lottery Monitoring System (GLMS), l’associazione di grandi società di lotterie che gestiscono anche scommesse sportive. E il 50% degli accordi che girano attorno al pallone, spiega Agipronews, riguarda bookmaker asiatici.

Secondo la Uefa, l’11% delle sponsorizzazioni dei club europei di calcio proviene dal betting, il terzo settore più attivo dopo i servizi finanziari e le vendite retail. Nel 2019/20, 17 club su 20 in Premier hanno stretto accordi con bookmaker e casinò, 19 società su 20 in Spagna, tutti e 18 i club della Bundesliga in Germania. Il business è dunque enorme ma – sottolinea Glms – il livello di attenzione va innalzato e anche rapidamente, perché è in evidente aumento la presenza degli operatori di scommesse non legali nel mercato delle sponsorizzazioni sportive. Secondo il report, Il fenomeno sta diventando «preoccupante» e riguarda soprattutto i grandi bookmaker asiatici, che puntano soprattutto a raccogliere clienti e puntate in paesi in cui il betting è vietato, come le Filippine o Hong Kong attraverso espedienti ingannevoli. Di fatto, si legge nel report, gli allibratori utilizzano le sponsorizzazioni sportive in Europa come una sorta di “Cavallo di Troia” – in particolare attraverso il calcio inglese, popolarissimo in Asia – per promuovere brand che non sono autorizzati nei paesi in cui essi stessi operano. Un esempio? Nelle Filippine le licenze di gioco online impediscono ai bookmaker di raccogliere giocate piazzate dai cittadini locali. Quindi, è necessario aggirare la legge creando un meccanismo di marketing all’estero: in questo, il grande calcio è uno strumento formidabile. Non si tratta di “street bookmaker”, quelli cioè che affollano le strade di Manila o Kuala Lumpur, puramente illegali. In questo caso gli operatori asiatici online usano i siti “mirror” cioè “specchio”.

Tanto per essere chiari: il club internazionale pubblicizza un sito di scommesse, il cittadino asiatico che assiste al match tenta di collegarsi all’indirizzo che legge sulla maglia del club ma non può farlo – perché il sito stesso non è reso accessibile dalle autorità in quel Paese – e allora viene reindirizzato su un altro sito (illegale) per giocare. Il report Glms, prosegue Agipronews, riporta l’esempio del betting partner 19.com in Premier League, che ha utilizzato questo schema rimandando a indirizzi come 19888555.com. Negli anni passati, anche il Chelsea ha stretto accordi con Ole777, operatore che ora non esiste più e che mirava al pubblico in Cina, Thailandia e Indonesia, dove però scommettere è illegale. Lo stesso Chelsea, con Tottenham e Liverpool, fu costretto a revocare un contratto con un operatore russo che pubblicava eventi in streaming vietati, sul calcio giovanile ad esempio. Anche alcuni club italiani hanno accordi con operatori che puntano sui clienti asiatici e che si muovono, però, nel pieno rispetto delle regole.  «Le leghe sportive e le strutture governative dovrebbero alzare il livello di attenzione sulle sponsorizzazioni, emanando standard comuni di trasparenza per evitare che le diventino uno strumento per facilitare il gioco illegale», spiega Glms, che ha analizzato oltre 180 siti di squadre da nove diverse discipline per individuare i rapporti tra sponsor e sport.

Secondo Glms, è necessario una sorta di ’decalogo delle regole’ attraverso il quale regolare e monitorare il rapporto tra sponsor e club sportivi, anche per proteggere l’integrità degli eventi. Tra le misure proposte, l’operatore deve dimostrare che è in possesso di una licenza ai regolatori del paese in cui intende firmare un accordo di sponsorizzazione. Per ottenere questo, conclude agipronews, è necessario che i governi coordinino le azioni da intraprendere. Ai primi posti, bloccare gli accordi con operatori non autorizzati, la possibilità di mandare messaggi pubblicitari solo usando una lingua «appropriata» al luogo che ospita l’evento, destinare una parte dei proventi allo sport di base e alla formazione degli staff delle squadre, avviare indagini su agenti e agenzie che hanno favorito accordi opachi negli ultimi dieci anni, irrogare multe ai club che non si adeguano. Naturalmente, è scritto nel report, la stragrande maggioranza degli accordi riguarda di solito operatori regolari, in ordine con gli adempimenti fiscali e regolamentari, in possesso di licenza e impegnati nella diffusione di campagne di responsabilità sociale.

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