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Leone XIV, il primo Papa “americano”. Prevost, la sorpresa giunta dal Conclave.

(di Carmelo Pennisi)* – Mascella serrata, deglutizione continua nello sforzo titanico nel non cedere alle lacrime, gli occhi stupiti di trovarsi di fronte ad una marea di gente che lo invoca e gli chiede speranza nonché l’indicazione di una nuova via, i pensieri molteplici che gli avranno attraversato la mente. Diventare Pontefice vuol dire morire e nascere a nuova vita, quindi tutta la sua storia gli sarà passata davanti come nei secondi prima del trapasso. Poi, facendosi coraggio Robert Francis Prevost (69 anni nato a Chicago nello stato dell’Illinois e già prefetto per il Dicastero dei vescovi), la sua voce ha tuonato dicendo la cosa a cui tutti aspiriamo con grande speranza: “la pace sia con tutti voi”!

Dal fronte ucraino alle rovine di Gaza un fremito di qualche emozione si sarà fermato tra la gente. Ma Papa Leone XIV (americano di nascita ma con una esperienza anche nel SudAmerica per diversi anni in Perù) ha appena cominciato a muovere i primi passi della sua storia, e mentre la  vista si perde nell’orizzonte di Via della Conciliazione che pare fatta di umanità multicolore senza soluzione di continuità invece che di asfalto, la “Parola” del Vangelo ruggisce attraverso questo agostiniano proveniente dalla Chicago del blues e del mito di Michael Jordan:…questo è il primo saluto del Cristo Risorto”.

Piazza San Pietro ondeggia, presa da una vertigine inaspettata: in quest’epoca attanagliata dalla paura e dalla marginalizzazione di ogni desiderio, ora c’è il Pastore della Chiesa Universale che torna a ricordare una promessa importante. Si può risorgere da qualsiasi dolore, si può ricominciare da ogni parte, perché non sono i luoghi a definirci ma noi stessi. La mente torna al 22 ottobre del 1978, al “non abbiate paura” di un giovane cardinale polacco da pochi giorni divenuto Papa, che scuote i cattolici e il mondo intero bloccato nei pensieri e nelle opere da un 900 funesto e polarizzato che farà decretare a Francis Fukuyama la fine della storia. Mentre tutti si aspettavano l’ascesa di un italiano o di un cardinale venuto dai margini del mondo, il Conclave spariglia in modo sorprendente, e direi anche geniale, le carte di una attesa che porta sul posto di potere più universale del globo un cittadino degli Stati Uniti, la super potenza culturale, militare ed economica costruita nel tempo con  stimmate imperiali. Chi pensa si sia fatto un favore a Donald Trump, non sta capendo la sostanza del segnale mandato dai cardinali elettori. L’America con le sue ultime mosse geopolitiche ha portato il mondo a confrontarsi di nuovo con l’abisso, e se si osservano bene le cose si può capire come la presidenza di Joe Biden e quella di Donald Trump siano attraversate da un’unica suggestione: ridare agli Stati Uniti il senso di “Impero” che sta smarrendo. Quando gli americani cercano di ridare vitalità al loro “sogno” della frontiera, in genere nel mondo aumentano tensioni e focolai di guerre, perché questo provocano gli “Imperi” quando entrano in crisi. Serviva un Pontefice in grado di capire e offrire chiavi di lettura nonché soluzioni, e quindi l’americano Robert Francis Prevost (eletto alla terza votazione del Conclave), salutando per la prima volta il suo gregge composto da un miliardo e quattrocento milioni di persone, risponde con il tono di chi sa bene con chi stia parlando: “… questa è la pace di Cristo risorto. Una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante”. Come far sgretolare in un attimo tutti i discorsi, fondati su una pericolosa sabbia dell’ambizione e della vanità, sulla necessità di aumentare le spese militari in ogni angolo dell’occidente. Leone XIV è un agostiniano, vive ieri oggi e domani come fosse un eterno presente dove ci si muove senza muoversi, dove Cristo è rimasto qui con noi pronto a fornire ogni risposta. Allora al mondo secolare, che usa il presente come trampolino di lancio verso il futuro e la memoria alla stessa stregua di uno specchio che riflette ciò che non si vuole più essere, il nuovo Pontefice offre un messaggio pacato ma deciso e chiaro: “… senza paura, uniti, mano nella mano con Dio e tra noi, andiamo avanti. Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce”. E così mentre l’occidente dell’ultimo periodo mostra i muscoli ridondanti di mai sopite voglie coloniali, la Chiesa di Prevost porge un ramoscello d’ulivo: il Dio di Gesù e del primo Apostolo Pietro non sarà disponibile a benedire altre guerre. Le intenzioni sono analoghe a quelle di Leone XIII, le prime parole dette lo ricordano in modo impressionante: la necessità di guardare al bene comune, la ferma opposizione ad ogni tipo di conflitto (“che non può dare che confusione e barbarie”), il richiamo continuo a Dio anche quando si parla di problemi sociali, il rispetto dell’autorità politica ma senza mai dimenticare il dovere “di camminare verso quella patria che Dio ci ha preparato”.

Lo sguardo va continuamente tra terra e cielo, nelle parole dei due “Leone”, e fa recuperare alla Chiesa di Roma la sua cattolicità. Leone XIII veniva dopo un Pontificato, quello di Pio IX, restio ad adeguarsi alla modernità e quasi inane di fronte alle sfide del socialismo. Leone XIV giunge sul Soglio di Pietro con una Chiesa fin troppo vogliosa di diluirsi nella modernità e convinta di essere senza “armi” di fronte ad una società che ha sostituito la politica con la tecnologia. Pace, costruire ponti, fiducia incondizionata in Cristo, in pochi minuti l’uomo venuto da Chicago ha delineato un programma, che si riannoda con la convinzione di Leone XIII di una rinascita cattolica che deve essere inscindibilmente religiosa, filosofica e politica. Robert Francis Prevost è il risultato di un miscuglio di antropologie possibile solo negli Stati Uniti, dove l’emigrazione e il sogno di una vita migliore sono da sempre il carburante della teologia esistenziale americana. Conosce quindi le difficoltà di chi parte nella disperazione e nella speranza, ma anche la necessità del rigore fondamentale del diritto per tenere insieme tutto. Il sogno è certamente un diritto, ma tenendo a bada quel tipo di utopia in procinto sempre di disgregarlo, scaraventandolo nell’anarchia. Il “pastore” Prevost non sarà mai una fotocopia del “pastore” Bergoglio, anzi dai suoi primi passi(basti pensare ai paramenti da lui indossati, e a suo tempo rifiutati da Papa Francesco. Ogni cosa diventa un messaggio) sembra proprio voler buttare il suo primo ponte proprio tra i progressisti e i tradizionalisti presenti nella Chiesa. Sarà il tempo a dire cosa sarà Leone XIV, di sicuro con il suo discorso di presentazione al mondo, il messaggio di Sant’Agostino è arrivato chiaro: “è stato l’orgoglio che ha trasformato gli angeli in diavoli”. L’obiettivo è il Paradiso, risulterà utile tornare a ricordarselo.

  • giornalista sportivo e vaticanista
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Redazione

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