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Inchiesta scommesse su siti illegali online: un “black market” da 20 miliardi di euro all’anno.

Non scommettevano sulle loro partite, né hanno provato a truccarle, secondo le prime indicazioni dell’inchiesta che sta interessando almeno dodici giocatori di Serie A. Neanche tentavano di arricchirsi, visto che ciascuno di loro guadagna diversi milioni di euro a stagione. Lo facevano per noia e attraverso siti non legali, pagando i loro debiti di gioco con l’acquisto simulato di orologi di lusso. D’altronde, come riporta Agipronews, è l’unico modo per giocare senza essere individuati dal sistema legale del gioco pubblico, che detiene presso Sogei l’anagrafe di tutti i giocatori italiani ed è in grado di analizzare – attraverso l’azione di monitoraggio dell’Agenzia delle Dogane e dei concessionari – comportamenti, spesa e giocate di ciascun consumatore.

Ecco perché i calciatori sotto inchiesta si sono rivolti ai gestori di siti “paralleli” – privi di licenza e di ogni forma di controllo – che prosperano in un mercato che vale, secondo le stime dell’industria italiana, circa 20 miliardi di euro all’anno. È il black market del gioco online, ancora prospero malgrado le azioni e i controlli del Mef e i blitz delle procure di mezza Italia (l’ultimo in ordine di tempo tre giorni fa a Messina: 22 arresti). Un nemico invisibile e spesso difficile da individuare. L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (Adm) ha inibito l’accesso, dal suolo italiano, a quasi 11mila siti di gioco illegali e accessibili ai giocatori italiani ma non basta per sconfiggere i criminali.

I vantaggi per chi gestisce giochi fuori dalle regole sono cospicui: quote più alte per le scommesse e vincite più alte per quanto riguarda i casino games, minori vincoli (dalla registrazione ai limiti delle puntate, dalle attività di gioco ai palinsesti consentiti) e, in generale, meno possibilità di controllo: ad esempio, i giocatori bannati per comportamenti irregolari sui siti .it, potranno trovare strada libera verso i siti .com. D’altronde, prosegue Agipronews, si tratta di veri e propri “porti franchi” virtuali: le transazioni di gioco si svolgono spesso in contanti o utilizzando il paravento del finto acquisto di beni (come nel caso dei Rolex a Milano), alla faccia di tutte le normative nazionali ed internazionali – vecchie e nuove – sul riciclaggio. Non solo. Le pagine del “Chi siamo” o dei “Contatti” dei siti offshore sono spesso “blank” o con informazioni troppo generiche per poter essere utili agli utenti. La tutela del giocatore – in caso di controversia su un’eventuale vincita – è di fatto inesistente, in quanto l’unico riferimento risulta essere la società titolare della licenza, magari con sede in un paese dei Caraibi a bassa tassazione e senza troppi controlli delle autorità. Tutto il contrario del sistema legale in vigore in Italia, che prevede una lunghissima serie di adempimenti a carico degli operatori autorizzati e una serie di garanzie – normative e finanziarie – per  tutelare giocatori e fisco.

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