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L’Arabia Saudita guarda al calcio per migliorare l’immagine internazionale

E’ tramontata, per il momento, l’ipotesi di acquisto del Newcastle United (popolare club della Premiership inglese) da parte del Fondo di Investimento pubblico dell’Arabia Saudita, conosciuto negli ambienti finanziari con la sigla “PIF”. Un progetto che aveva visto, in prima fila, il principe ereditario Mohammed bin Salman.

La campagna di comunicazione “negativa” mossa nel Regno Unito, nei confronti dei capitali sauditi, ha fatto riflettere sui rischi mediatici dell’operazione, portando il fondo sovrano a soprassedere.

Il prezzo stimato di vendita avrebbe superato i 340 milioni di euro, con investimenti pari a 230 milioni “promessi” da Yasir Al-Rumayyan, governatore del Fondo sovrano e presidente di Saudi Aramco (colosso pubblico del settore petrolifero). Avrebbero fatto parte della trattativa di acquisto anche l’imprenditrice Amanda Staveley (già artefice dell’accordo che ha visto la famiglia emiratina Mansour diventare proprietaria, nel 2008, del Manchester City), e la società “Reuben Brothers” dei fratelli David e Simon (tra i gruppi, a livello imprenditoriale, più ricchi del Regno Unito).

Lo schema del progetto di acquisto. Il PIF avrebbe acquisito una quota dell’80%; il restante 20% sarebbe stato diviso equamente tra l’intermediaria Staveley, al vertice del fondo d’investimenti PCP Capital Partners, e i fratelli Reuben (con un patrimonio stimato in più di 20 miliardi di euro). Sfumata la trattativa con il Newcastle Utd, da alcuni giorni, crescono i rumourdell’interesse per il gruppo AC Milan, attualmente controllato dall’hedge fund Elliott Management Corp.

Lo scontro tra Arabia Saudita e Qatar. La ragione principale dell’interesse saudita per il pianeta football è da cercare negli scenari presenti, oltre che futuri, della politica internazionale. L’obiettivo della famiglia reale Al Saʿūd è contendere lo scettro di “super potenza” del calcio mondiale al Paris Saint Germain e alla famiglia Al Thani (i sovrani dell’emirato del Qatar). Tra i due stati, è inutile nasconderlo, vi è una “battaglia” mediatica/geopolitica. Entrambi intendono promuovere eventi sportivi globali (dalla “Formula E” in Arabia Saudita, ai prossimi Mondiali di calcio del 2022 in Qatar). Puntano a migliorare l’immagine dei rispettivi paesi.

Lo sviluppo di “Saudi Vision 2030“. Queste operazioni rientrano nel piano di sviluppo economico denominato “Saudi Vision 2030” (inaugurato nel 2016 proprio dal principe bin Salman). Mediante questo progetto, il Governo di Riad intende diversificare l’economia (smarcandosi dalla sola produzione e vendita di petrolio), incrementare i finanziamenti pubblici (in settori come la salute e l’educazione), ma soprattutto aprire le porte del paese all’Occidente, stimolando gli investimenti e il turismo.

Di conseguenza, la volontà di entrare nel business dello sport più popolare (a livello globale) deve essere interpretata come un vero e proprio soft power: ovvero il tentativo di costruire un’immagine positiva agli occhi del mondo attraverso il “prodotto” calcio. Ecco perché si prevedono, nei prossimi anni, diversi investimenti attraverso l’acquisizione di pacchetti di controllo di football club europei.

I tre pilastri del super progetto economico. Saudi Vision 2030 (sono previsti investimenti per oltre 430 miliardi di euro) pone l’accento sulle riforme strutturali, le privatizzazioni e lo sviluppo delle piccole e medie imprese, con l’obiettivo di diversificare l’economia, creare nuove opportunità di lavoro e innalzare la qualità della vita nel paese.

Si articola su tre pilastri: il primo è lo status del Regno come “cuore” del mondo arabo e islamico; il secondo è la determinazione dell’Arabia Saudita nel trasformarsi in un motore globale di investimento (nei prossimi anni verranno generati flussi costanti di denaro a supporto di progetti di respiro internazionale); il terzo è collegato alla posizione strategica della nazione saudita e all’ambizione di diventare un ponte globale tra Asia, Europa e Africa.

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