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La Chinese Super League introduce il tetto salariale: stop alle spese folli

(di Giacomo Mozzo) A partire dal 2019, la Federazione calcistica cinese introdurrà nel massimo campionato di calcio nazionale (così come nelle serie inferiori) un salary cap e un bonus cap, dopo le spese pazze effettuate dai club negli ultimi anni. Come riferito dall’agenzia di stampa Xinhua, il provvedimento, avallato anche dal Governo cinese, si pone l’obiettivo primario di frenare gli investimenti dissennati e promuovere uno sviluppo sano e sostenibile dei campionati professionistici nazionali.

Negli ultimi tempi, la Super League cinese è stata meta di approdo per decine di calciatori provenienti dai maggiori campionati europei e sudamericani, attratti dagli ingaggi mostruosi offerti dai club. Ma nonostante altre misure adottate in questi ultimi anni, volte a favorire la crescita del movimento calcistico cinese (come quello di schierare un massimo di tre giocatori stranieri contemporaneamente, o quello che prevede l’utilizzo esclusivamente di portieri cinesi), il livello di squadre e settori giovanili fatica tremendamente a crescere.

L’arrivo in Cina di calciatori e allenatori dal grande passato, non ha dunque contribuito ad aumentare la qualità del calcio cinese, in primis quello di una nazionale (oggi allenata da Marcello Lippi) che nella propria storia ha raggiunto solo nel 2002 la fase finale dei Mondiali.

Di qui, allora, la necessità di scoraggiare l’eccessivo ricorso ai calciatori stranieri, introducendo un tetto salariale e uno pure sui bonus, misure le cui dimensioni e modalità di applicazione saranno rese note in un secondo momento. Inoltre, la Federazione calcistica cinese ha confermato la tassa di trasferimento già introdotta lo scorso anno, la quale prevede un articolato meccanismo di funzionamento: ogni club che acquista un giocatore straniero per oltre 45 milioni di yuan (circa 6,5 milioni di dollari) o un giocatore cinese per oltre 20 milioni di yuan, dovrà pagare una somma di denaro dello stesso ammontare nel caso in cui non riuscisse a raggiungere, nel successivo esercizio, il pareggio di bilancio.

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