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IL CALCIO RENDE IL MONDO PIÙ TRISTE? UNA RICERCA INTERNAZIONALE CI AIUTA A CAPIRNE DI PIU’

(di Andrea Ranaldo) –  Guai a considerare il calcio un semplice gioco. Secondo lo scrittore/regista Pier Paolo Pasolini era “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”, e oggi due economisti inglesi dell’Università di Sussex, Peter Doltone George MacKerron, possono spiegare scientificamente perché lo sport più amato al mondo è per i suoi tifosi una questione di vita o di morte. O, come dice il nome stesso della ricerca – “Is Football a Matter of Life and Death – Or Is It More Important Than That?- , forse anche qualcosa di più…

PIÙ DOLORI CHE GIOIE…

La tesi è che il calcio, mediamente, regala più dolori che gioie, rendendo il mondo un posto più triste. Per arrivare a tale conclusione, i due ricercatori hanno incrociato i dati di 32 mila persone, con oltre 3 milioni di osservazioni, grazie a “Mappiness”, un’applicazione in grado di valutare la felicità dell’individuo, in base all’attività e al luogo in cui si trova. Attraverso diversi calcoli, basati su modelli econometrici creati ad hoc, si evince che al termine di una partita di calcio i tifosi della squadra vincitrice guadagnano, su una scala che va da 1 a 100, 3.857 punti di felicità, mentre l’umore dei fan della squadra perdente subisce un crollo di 7.819 punti. Non solo: il grado di soddisfazione viene rapidamente mitigato nel giro di un paio d’ore, mentre il peso della sconfitta perdura per tutta la giornata creando, in un mondo ipotetico in cui tutte le squadre hanno un numero uguale di supporter, circa 4 volte più tristezza che felicità.

ESSERCI O NON ESSERCI FA LA DIFFERENZA

Lo studio va oltre, e analizza le divergenze tra chi vive la sfida dal vivo allo stadio, e chi invece la segue davanti al televisore.La differenza è sostanziale, sia nel pre-partita che nel post: prima del match, la contentezza di chi è seduto sul divano è quasi impercettibile, pari a +0.211, contro il +7.921 di chi invece si trova sugli spalti. Un’ora dopo una vittoria, invece, si registra un +2.405 per i “casalinghi”, e un +9.809 per chi è al seguito della squadra. Divergenze che si confermano in caso di sconfitta: -7.203 per chi non è allo stadio, e addirittura -13.98 per coloro che, invece, assistono dal vivo alla debacle dei propri beniamini.

IL PESO DELLE ASPETTATIVE

Il tifoso viene etichettato come un individuo irrazionale, portato a sovrastimare le probabilità di vittoria della propria squadra, e questo si ripercuote anche sull’umore: si registra un +7.021 in caso di vittoria inaspettata (contro il +3.061 quando i favori del pronostico vengono rispettati), e un -10.03 quando a sorprenderci è una sconfitta (mentre è a -6.252 in caso di insuccesso “preventivabile”: questo perché, in realtà, irrazionalmente non diamo mai per vinta la nostra squadra a priori).

IL TIFO CREA DIPENDENZA (positiva)

Un appassionato di calcio è portato a ricordare selettivamente i grandi successi del passato, e continua a seguire la propria squadra sperando di rivivere le stesse emozioni. Una “dipendenza” positiva da condividere non solo con i propri amici, ma anche con emeriti sconosciuti: l’appartenere a una “tribù” amplifica la soddisfazione, e il passo successivo di questo effetto è l’identificazione di un nemico comune da “odiare” collettivamente. Da qui si evincono le gioie dei tifosi per i fallimenti delle squadre rivali. Ad appassionare milioni di persone, però, è soprattutto l’ineluttabile imprevedibilità di fondo, che rende il calcio lo sport più traboccante di colpi di scena, sia positivi che negativi. Per buona pace del nostro umore…

LINK AL REPORT ORIGINALE —> https://www.niesr.ac.uk/sites/default/files/publications/DP493.pdf

 

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