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I NUMERI DELLA CRISI IN FORMULA UNO: RISCHIO DEFAULT PER LIBERTY MEDIA E I TEAM

(di Sejon Veshaj) – Il blocco della stagione di Formula 1 causa la pandemia Covid-19 potrebbe stravolgere in maniera permanente l’equilibrio economico e strutturale dell’intero Circus. L’ipotesi di un campionato mondiale ridotto o ancor peggio cancellato accende inevitabilmente la spia tra le gli organizzatori e le varie scuderie, con il rischio di un crac finanziario non più così velato all’orizzonte.

La situazione di “Liberty Media”   

La holding americana del magnate delle telecomunicazioni John Malone è a capo della Formula 1 (e del nuovo gruppo di gestione ‘Formula One Management’) dal settembre del 2016, dopo aver rilevato le quote di maggioranza dalla CVC Capital Partner, lo storico fondo presieduto da Bernie Ecclestone con un assegno iniziale di 750 milioni di dollari e successive tranche nel 2017 per un totale di 4,4 miliardi di dollari più il totale dei debiti della precedente gestione.

Il gruppo americano potrebbe però non riuscire a onorare il debito da 2,9 miliardi di dollari assunto per l’acquisizione dell’intero pacchetto della F1. Negli ultimi due mesi infatti, le azioni di Liberty Media (quotata alla Nasdaq) sono crollate del 49,4% con oltre 10 milioni di dollari al mese di interessi da pagare nei confronti dei vari creditori.

L’azienda è subito corsa ai ripari con un robusto piano di contenimento dei costi che hanno riguardato inevitabilmente il personale con la decisione di mettere in cassa integrazione straordinaria ben 500 dipendenti.

Le ricadute economiche che lo stop da Coronavirus ha causato a Liberty Media sono molteplici. Nelle ultime stagioni i costi operativi sono aumentati del 12,4% per via delle nuove strategie aziendali, che hanno puntato ad un forte incremento dei servizi digitali (come la diretta di alcuni gran premi in streaming) con un coinvolgimento più diretto dei fan e nuove partnership.

Secondo il Chairman e Chief Executive Chase Carey, la stagione 2020 si prospettava come la più rivoluzionaria e ricca nella storia della Formula 1. Con 22 gare in programma (novità assolute i Gp d’Olanda e del Vietnam), gli accordi con i main sponsor (Heineken su tutte con circa 300 milioni di dollari) e i promotori dei vari weekend di gare, prevedevano introiti economici stratosferici pari a oltre due miliardi di dollari. Contratti che andranno inevitabilmente rivisti dopo la cancellazione dei Gran Premi di Melbourne e Montecarlo e il rinvio di altre sette gare.

Altra nota dolente per Liberty Media sono i proventi garantiti dalle emittenti televisive. Qualora venissero confermati i restanti Gp della stagione, almeno una parte delle entrate dei diritti TV, pari a 700 milioni di dollari, salterebbero.

La situazione delle scuderie

Anche per i dieci team ufficiali il fermo forzato del campionato ha provocato situazioni al limite. La prima a muoversi è stata la McLaren, squadra colpita direttamente dal coronavirus con due meccanici contagiati alla vigilia del Gran Premio d’Australia. La scuderia di Woking ha deciso per un congedo forzato di una parte degli oltre 900 dipendenti, ricorrendo alle agevolazioni del governo britannico per la cassa integrazione. Tagli che hanno riguardato anche i piani alti dell’azienda e i piloti Carlos Sainz e Lando Norris.

Sulla scia della McLaren anche le altre scuderie con sede operativa nel Regno Unito hanno adottato strategie simili. Renault, Haas Racing, Wlliams e Racing Point hanno imposto la chiusura delle loro fabbriche almeno sino a maggio.

Misure non seguite dalle altre squadre, in particolare le “top 3” del campionato: Mercedes, Ferrari e Red Bull, che hanno invece continuato lo sviluppo delle proprie monoposto confidando in un rapido ritorno alle gare.

Il clima di tensione è venuto ad acuirsi nel corso dell’ultima riunione telematica avvenuta tra i team principal delle scuderie, la FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) e Liberty Media sui diversi punti per contrastare la crisi economico-finanziaria e l’annosa questione del “budget cup”, il tetto di spesa comune che i piani dirigenziali della F1 introdurranno a partire dalla prossima stagione.

Il limite originario posto a 175 milioni di dollari è stato ridotto dalla FIA e dalla Formula One Group a 150 milioni e nella video-conferenza è stata avanzata la proposta (supportata dai team più piccoli) di abbassare ulteriormente il budget cap di altri 25 milioni, vedendo la ferma opposizione di Mercedes, Ferrari e Red Bull che continuano a reclamare un tetto più ampio di azione perché impegnate a sviluppare elementi da cedere alle squadre clienti.

Un accordo invece c’è stato sul mantenimento delle auto di quest’anno per almeno un’altra stagione, ritardando la revisione tecnica originariamente prevista per il 2021.

Con la riduzione del calendario (attualmente restano in programma 15 Gp) le squadre devono fare i conti con le mancate entrate provenienti dai weekend di gare. Senza contare le partnership ufficiali infatti, si stima che tra servizi di hosting, diritti TV e sponsorizzazioni locali, ogni scuderia incassi circa due milioni di dollari a gran premio, per un totale di 44 milioni a stagione. Entrate che diventano vitali soprattutto per le scuderie minori come ha dichiarato apertamente ad Autosport.com il Presidente del team statunitense Haas Racing, il 67enne Gene Haas:

“Se l’onere finanziario diventerà troppo grande, cesseremo di esistere. La nostra preoccupazione è rivolta al mancato riavvio della stagione e al cambio di regolamento previsto per il 2021 che porterà a nuove vetture. Ogni volta che ci sono cambiamenti, questi costano anche 20, 30 o 40 milioni di dollari. Dicono sempre che la volontà è quella di risparmiare denaro, ma non sembra così. Ci sono gare in cui la differenza tra le prime squadre e gli altri è abissale e mi chiedo come sia possibile”.

Conclude infine Haas: “Vedremo se inizierà la stagione ma, tutte queste perdite già accumulate non faranno certo bene. Non dico che ci fermeremo, ma dovremo considerare se avrà senso impegnarci per il futuro”.

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