Finale Coppa Italia: Calcio, tappeto ideale per nascondere la polvere della violenza di alcune frange ultras

Vuoi dare il fischio di inizio di una finale di Coppa Italia? Decidere quando e come gestire un match-clou della stagione? In un paese normale, sarebbe sufficiente l’arbitro. In Italia no, soprattutto, se di mezzo c’è Genny a’ carogna, capo dei Mastiffs, oggi leader indiscusso della Curva “A”, uno dei gruppi ultras più popolare e temuto nel bacino partenopeo.
La notizia del ferimento grave di un tifoso azzurro, nella zona di Tor di Quinto, ha causato un ritardo di ben 45 minuti del fischio di inizio (rispetto all’orario previsto), perché gli animi delle tifoserie (soprattutto quelle del Napoli opposte ai rivali della Fiorentina) non erano per nulla serene e quindi, alla fine, il fischio d’inizio l’ha deciso, dopo essere stati chiamati come peacekeeper, dirigenti delle forze dell’ordine, della Lega, calciatori (come il capitano del Napoli, Hamsik) e persino i presidenti dei club, proprio il “nostro” Genny a’ carogna. Il quale è apparso davanti alle telecamere con tanto di t-shirt celebrativa delle imprese di Antonio Speziale, tifoso catanese condannato per la morte del poliziotto Filippo Raciti, ucciso dopo il derby Catania-Palermo del 2 febbraio 2007.
Ieri sera con questa t-shirt nera con la scritta in giallo “Speziale Libero“, se l’è cantata e suonata in barba a tutti. Finchè il capo della Cruva “A” non ha deciso che si dovesse giocare la partita, quest’ultima non è stata giocata, punto e basta! Poi le esigenze delle tv, dei club, dei telespettatori e magari anche dello stesso CONI, proprietario/gestore dello stadio Olimpico (con un Giovanni Malagò, presidente dell’ente sportivo, durante la consegna delle medaglie post-gara, visibilmente contratto in viso come emergeva chiaramente dalle immagini, e come non dargli torto), erano un misero “di cui“. 
Ma l’Italia, siamo sinceri, è un paese normale? A noi non sembra. La partita, alla luce di quello che era successo nel pomeriggio, non doveva proprio essere giocata, perché era stato superato il limite della buona decenza. Ancora una volta Lega e forze dell’ordine non hanno saputo gestire il tutto, e il buon Genny a’ carogna è stato scelto come soggetto-definitore delle regole del gioco. La cosa non mi stupisce, perché ormai lo Stato, in regioni come la Campania, la Calabria o la Sicilia, non solo latita o barcolla, ma spesso è assolutamente assente. Dopo stasera l’ultras della Curva A tornerà a casa come un eroe. L’uomo che ha fermato temporaneamente una finale di Coppa Italia (con chiaro danno di immagine all’estero, visto che la gara era trasmessa anche in diversi mercati stranieri), ha deciso lui tutto. E come dargli torto: è andata proprio così. 
Genny a’ carogna decide per il mondo-Napoli tutto, senza un suo cenno non si gioca. A questo punto, scusate la provocazione, invitatelo pure in Lega e magari aiutiamolo anche a lanciare una griffe di abbigliamento con il claim “Speziale libero”, o no? Ho letto ieri sera solo dichiarazioni di circostanza. Non c’è la volontà politica di analizzare il problema e risolverlo una volta per tutte. Il calcio italiano è ad un passo dal baratro, sempre che non l’abbia già superato. E’ sotto scacco di frange di tifoserie, che decidono dalla A alla Z i destini di calciatori, presidenti e dirigenti e da ieri anche la regolarità tv delle partite. Sono tifoserie-professioniste che vivono degli “scarti” dell’industria del pallone, che, essendo milionario, li fa chiaramente vivere molto bene. Ma il calcio è anche consenso, voti, business, soprattutto al Sud, perché rinunciarvi quando ti trovi di fronte delle dirigenze incapaci di affrontare il “problema-ultras”. Si sono presi la gestione del giocattolo-calcio ed oggi non lo mollano, a costo di scontrarsi anche con le forze dell’ordine, sempre più sottoposte a vessazioni (anche morali) di tutti i tipi. 

La situazione può solo che peggiorare. Vivo o morto, se parliamo del tifoso colpito ieri dal colpo di pistola, ieri c’è stato un ulteriore salto di qualità (chiaramente negativo). Dopo le spranghe di ferro, i coltelli, adesso siamo alle pistole e il pre-gara dei match clou può trasformarsi in agguati, regolamenti di conti o anche semplici mattanze colorate di un pallone a spicchi. Siamo il SudAmerica de noantri, con il calcio e le sue perversioni socio-mentali, a condire questa insalata triste di personaggi di quart’ordine, che in una società civile non troverebbero spazio e invece…evidentemente non è così. Forse anche loro sono registi di questo nightmare pallonaio notturno. Anche questa è l’ennesima conferma che i dirigenti del calcio non hanno capito proprio nulla delle lezioni che arrivano dal passato. Una volta per tutte: che senso ha giocare di notte, quando si sa perfettamente che l’oscurità è un porto tranquillo dove possono nascondersi, soprattutto, coloro i quali intendono perpretare gesti infami come quelli della sparatoria di ieri pomeriggio a ponte Milvio? Tutti lo sanno, tutti si batteranno il petto nei prossimi giorni, ma nessuno ha l’intelligenza di cambiare gli orario delle partire a rischio. Per esempio alle 12.30 o alle 15. Ma ci vuole un genio per comprenderlo una volta per tutte? 
Ultima annotazione: le dichiarazioni “inutili” della politica nazionale.
Pietro Grasso, presidente del Senato: “Sto andando all’Olimpico per premiare FiorentinaNapoli. Scontri con feriti gravi. Questi non sono tifosi, ma solo delinquenti!“. E ha aggiunto arrivando allo stadio: “Una partita di calcio non si può trasformare in una guerra tra bande. Veniamo qua per vedere uno sopettacolo e gioire per chi vince in maniera sportiva. Questo dev’essere lo scopo di queste manifestazioni. Qualsiasi altra cosa è fuori dallo sport. Ci indigna che ci siano ancora queste manifestazioniu di violenza”.
Vi prego, per il futuro restate piuttosto in silenzio. Queste dichiarazioni sono inutili, oltre che ripetitive, e mi dispiace che arrivino da una delle massime cariche dello Stato. 
Lo Stato faccia lo Stato. Nel calcio, come in qualsiasi settore del paese, presidente Grasso. In uno Stato serio mi aspetterei da domani l’emanazione di norme che mettano la parola “fine” a questo stato di cose, che dura da fin troppo tempo. La parte sana del paese lo richiede da tempo. E’ stanca di assistere inerme a questo schifo, che è ormai il calcio. Prendete qualche misura di contrasto, non è possibile continuare così. Fate qualcosa! Perchè avete la responsabilità politica anche sul declino del calcio tricolore. E la storia vi assegnerà inevitabilmente la colpa “morale” di questo sfascio socio-economico. E concludo con una considerazione di buon senso: ma come pensate che una famiglia italiana possa portare mai, nel futuro, un figlio/a negli stadi italiani, vista l’attuale situazione? Ormai ,sono solo bacini di violenza e questa violenza si sta allargando nelle pre-gare anche alle aree antistanti gli impianti, diventando dei problemi seri di ordine pubblico. Vi prego intervenite, non c’è più tempo!

Nonostante il risultato finale (3-1 per il Napoli, con una grande doppietta di Insigne sulla Fiorentina) a perdere è, soprattutto, il calcio e quella parte buona del paese che vorrebbe tifare serenamente negli stadi (ma anche fuori) e che, invece, dopo lo “spottone” negativo di ieri, rimarrà sempre più a casa, visto che ieri a Roma, sede di gara, sono volate spranghe di ferro, coltelli, e, in un clamoroso salto di qualità criminale, anche sette colpi di arma da fuoco (con un tifoso del Napoli, il 31enne Ciro Esposito, al Gemelli sotto i ferri per estrarre un proiettile finito perfettamente all’interno della colonna vertebrale). 

Per la cronaca sotto indagine è un tifoso romanista Daniele De Santis, secondo quanto riporta Skytg24, già noto alle cronache per il derby “non giocato” tra Roma e Lazio del 2004. Insomma, una “garanzia” e sembrerebbe dalle cronache anche ben armato. Per il momento è stato sottoposto ad arresto con l’accusa di tentato omocidio.

Oggi i principali network tv si sono soffermati sulla parte di calcio giocato, ma è chiaro, visto che non lo vuole dire nessuno, che il calcio italiano dopo ieri, può anche “chiudere”. Non c’è più nulla da sperare o sognare. Il pallone tricolore è chiuso in uno stagno, dove i guardiani, in un sottile gioco di specchi, sono da un lato le impotenti forze dell’ordine (spesso fermate da una politica inconcludente oltre che banale, a partire dalle dichiarazioni di rito che sono uguali da anni) e dall’altro frange di ultras sempre più forti e violente, in quasi ogni angolo del paese. In una nazione normale, dopo ciò che è successo ieri, in un Truman Show alla rovescia che si trascina da anni, i vertici del calcio dovrebbero, oggi, dare le dimissioni, incapaci, da troppo tempo, di mettere un freno a questo strapotere, spesso anche criminale. Tutti zitti e buoni, l’importante è che alla fine si giochi, come poi è successo ieri. Con buona pace delle televisioni, anche se nelle stesse ore poteva morire sotto i ferri il povero tifoso campano. 

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Marcel Vulpis

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