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E’ morto Paolo Rossi. Lutto nel calcio.

(di Massimiliano Morelli) – Come un pugno sulla bocca dello stomaco, di quelli che lasciano senza fiato. La notizia della morte di Paolo Rossi arriva nel cuore della notte, anche se qualcosa della sua malattia negli ultimi giorni era trapelato, come sempre accade in questi casi. Era un uomo tranquillo, semplice, catapultato nel pianeta calcio partendo dalla provincia, Vicenza. Coi biancorossi aveva vinto un campionato di serie B, conquistando il titolo di capocannoniere del torneo cadetto, in una classifica marcatori dove si era lasciato alle spalle Pietro Paolo Virdis. Una volta in serie A lo vidi giocare all’Olimpico in una sfida vinta 3-1 dal Lanerossi contro la Lazio, lui a far tripletta e il pubblico biancoceleste ad applaudirlo, in piedi, perché un rapinatore d’area come lui non si vedeva dalla semifinale dell’Azteca, e l’uomo in questione era Gerd Muller. Lo avrebbe voluto il Napoli, ma sbarcò a Perugia dove D’Attoma, presidente degli umbri, per tesserarlo s’inventò la sponsorizzazione di maglia (anche se fu l’unico a scendere in campo senza il marchio Ponte Sportswear, perchè nei mesi precedenti si era legato a latte Polenghi ed era in conflitto con il settore merceologico del brand della Buitoni). Fu il primo caso in Italia, di una squadra col logo sulla divisa. Un anno col Grifone umbro, poi lo scandalo scommesse, la squalifica, e la Juventus che lo acquista a un prezzo comunque irrisorio, perché era un giocatore fermo per squalifica e nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul ritorno ai fasti dei mesi precedenti. E tutti lo davano per finito, e le maledizioni inviate all’indirizzo di Enzo Bearzot per averlo convocato in nazionale per il mundial spagnolo si sprecarono. Invece Paolo Rossi rinacque nell’estate del 1982, in un caldo pomeriggio in cui rifilò tre gol al Brasile. Pareva Re Mida, ogni pallone che arrivava sui suoi piedi finiva in rete. Fu l’apoteosi per lui e per una nazionale capace di vincere il titolo mondiale quarantadue anni dopo quella di Vittorio Pozzo. Continuò la carriera con la Juventus, prima di passare al Milan e al Verona poi. Lo conobbi il 5 luglio del 2012, a trent’anni da Italia-Brasile, venne a vedere uno spettacolo in cui un gruppo teatrale (del quale faccio parte insieme ad Antonello Ricci e Alessandro Tozzi, ma questa è un’altra storia) raccontava quel calcio che fu e applaudì a lungo l’idea di “vedere” la sfida con i sudamericani in maniera diversa dai consueti stereotipi, senza urla, enfasi e aggettivi ridondanti. Paolo Rossi era un semplice e quella sera, a Viterbo, si sentì a proprio agio (nella foto un momento di quell’incontro).

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Massimiliano Morelli

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