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Viaggio in Europa: come funzionano le squadre “B”

(di Andrea Ranaldo) –  L’Italia non è un Paese per giovani. A differenza dei campionati esteri, dove la carta d’identità di un calciatore non è mai una discriminante, in Serie A è sempre più raro vedere giocatori Under 21 recitare un ruolo da protagonista, specie nelle grandi squadre.

È anche per questo che molti club, in primis la Juventus, ritenendo poco utili alla crescita dei propri ragazzi le cessioni in prestito, chiedono a gran voce l’introduzione delle cosiddette “squadre B”.
Un progetto che era tra i punti programmatici di Demetrio Albertini all’epoca della sua candidatura a Presidente della FIGC nel 2014, e che ora, dopo le dimissioni di Carlo Tavecchio, ritorna prepotentemente in auge.

In questo articolo analizziamo la situazione nei principali campionati europei.

SPAGNA

La Spagna è probabilmente il caso più emblematico. Nella penisola iberica le squadre B partecipano al campionato professionistico, a patto di essere iscritte almeno una categoria al di sotto delle prime squadre, e possono, dunque, essere promosse, oppure retrocedere. Il passaggio dalla squadra B alla squadra A (e viceversa) è sempre consentito, anche a calciomercato chiuso, per i giocatori Under 23, oppure per gli Under 25 in possesso di un contratto professionistico.

Sono molti i “canterani” diventati fenomeni anche tra i “grandi”, e tra questi è impossibile non citare i gioielli del Barcellona B Iniesta, Messi e Xavi, cresciuti, peraltro, sotto le sapienti direttive di un tecnico che, di lì a poco, avrebbe riscritto la storia del calcio: Pep Guardiola.

GERMANIA

Anche le squadre B tedesche sono inserite nella piramide professionistica, ma non possono andare oltre la 3.Bundesliga (terza divisione del calcio tedesco). Dal 2008, inoltre, sono escluse dalla Coppa di Germania, visto che in passato si sono verificati casi di scontri diretti tra la prima e la seconda squadra.

Dal punto di vista regolamentare, non esistono limiti di età e c’è totale libertà di passaggio dei calciatori, anche al di fuori delle finestre di mercato.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti, e così come in Spagna, anche in Germania top team come Bayern Monaco e Borussia Dortmund annoverano tra le proprie fila calciatori cresciuti nel proprio vivaio, come Thomas Müller per i bavaresi, e Mario Götze per i gialloneri.

INGHILTERRA

Molto diverso il modello inglese. Nato addirittura nel 1911, il campionato riserve è stato riformato nel 2012 trasformandosi nel Professional Development League, un articolato sistema di leghe rivolte ai calciatori Under 21, e che prevede la possibilità di schierare tre fuoriquota più il portiere fuori età.

Attualmente esiste una League 1 (suddivisa a sua volta in Division 1 e Division 2), e una League 2 in categoria unica. Una via di mezzo tra il nostro campionato Primavera, visti i limiti di età imposti, e una vera e propria lega a sé stante, dato che promozioni e retrocessioni sono totalmente slegate dai risultati della prima squadra.

Data la relativa gioventù della riforma, è prematuro trarre un bilancio definitivo. Tuttavia, al momento permangono diverse perplessità: i club sembrano continuare a preferire l’opzione del prestito, servendosi della seconda squadra quasi esclusivamente per fare ritornare in forma i giocatori reduci da un infortunio.

FRANCIA

In Francia le squadre B non sono inserite nel calcio professionistico: le società dotate di un proprio centro di formazione possono iscriversi in CFA1 (l’equivalente della nostra Serie D), mentre le altre in CFA2 (paragonabile alla nostra Eccellenza). Questo significa che le squadre B si ritrovano a giocare il campionato da fuori classifica, generando le proteste delle avversarie: siccome le big si servono frequentemente della squadra riserve per fare ritrovare la migliore condizione ai propri giocatori, sono accusate dalle rivali dilettantistiche di falsare il campionato.

Nonostante l’apparente criticità generale, sono molti i calciatori, anche di livello internazionale, ad aver militato, con profitto, in una squadra B del campionato francese: Mbappé del PSG, Lacazette dell’Arsenal e Varane del Real Madrid, sono solo alcuni dei più fulgidi esempi.

E IN ITALIA?

 In seguito alla débâcle contro la Svezia nei play-off di qualificazione per i Mondiali in Russia del 2018, l’Italia calcistica si interroga ora sull’opportunità di seguire, o meno, l’esempio di altre federazioni europee.

I sostenitori della riforma evidenziano molteplici vantaggi: innanzitutto, i giovani del vivaio, anziché vagabondare di squadra in squadra, crescerebbero in un ambiente familiare, e sarebbero monitorati costantemente dalla società e dallo staff tecnico, visto che potrebbero addirittura tornare utili nel corso della stagione. Inoltre, trovandosi fin da giovanissimi a confrontarsi con rivali di tutte le età, si tratterebbe di un’esperienza molto più formante rispetto all’attuale campionato Primavera.

La decisione più importante risiederebbe, ovviamente, nella scelta del regolamento: emulare il modello spagnolo, che rappresenta l’optimum, richiederebbe l’ennesima revisione dei campionati professionistici, condizione che preoccupa, e non poco, le piccole società.

Tuttavia è indubbio che il calcio italiano necessiti di una rivoluzione: i fallimenti dei Mondiali del 2010 in Sudafrica e del 2014 in Brasile sono stati campanelli d’allarme erroneamente sottostimati, e dopo l’ennesima, cocente, delusione è obbligatorio un repentino cambio di rotta.

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