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LE ISTITUZIONI EUROPEE UNITE CONTRO IL DOPING

(di Andrea Ranaldo) – Giovedì 26 settembre, presso gli uffici di rappresentanza della UEFA a Bruxelles, si è tenuto un dibattito d’alto livello sul doping, a cui hanno partecipato i rappresentanti di tutte le principali istituzioni comunitarie.

Tema principale dell’incontro, l’incidenza sempre più rilevante dell’abuso di sostante dopanti nello sport amatoriale, per il quale non esistono controlli, e che si rivela, quindi, estremamente più pericoloso rispetto a quello presente nel professionismo, data una generale ignoranza sui rischi per la salute, e l’inevitabile facilità con cui si possono manipolare le competizioni.

Il primo documento ufficiale ad essersi occupato della problematica è stata la convenzione Anti-Doping del Consiglio d’Europa, stipulata a Strasburgo il 16 dicembre 1989, che stabilì per la prima volta gli standard legali da tenere in campo sportivo. È il preludio alla costituzione della World Anti-Doping Agency (WADA), creata nel 1999 per volontà del Comitato Olimpico Internazionale, e organo mondiale preposto a coordinare la lotta al doping nello sport.

Ma come si può sconfiggere una simile piaga? Secondo Tiziana Beghin (europarlamentare M5S), vicepresidente dell’intergruppo Sport al Parlamento europeo, l’unica soluzione possibile è l’educazione: per l’europarlamentare i controlli, con relative squalifiche e, talvolta, radiazioni, restano un deterrente importante, ma le tecnologie avanzano, e il doping rischia sempre di essere un passo avanti rispetto all’anti-doping. Del resto, sono molti i casi di (presunti) campionissimi dello sport che sono stati squalificati quando ormai non gareggiavano più da anni.

Prevenzione ed educazione, dunque, con due target differenti. Per i più giovani, gli speaker ritengono più utile puntare maggiormente sul fair play e sui valori più puri dello sport: a tal proposito, è stato posto un sondaggio a bambini tra i 10 e i 13 anni in cui si chiedeva se una vittoria ottenuta con l’inganno sia da considerarsi tale, o se sia, invece, solo una grande illusione; la risposta più comune è stata che un simile trionfo non renderebbe felici e non è divertente.

Per gli adulti invece, più disincantati e materialisti, forse un simile discorso farebbe meno breccia: in questo caso, meglio concentrarsi sulle gravissime conseguenze per la salute, che variano da sostanza a sostanza, ma che hanno, secondo i relatori, un comune denominatore: i danni si presentano sempre, e talvolta sono fatali.

Dal lato atleti, si è sottolineato come, se da una parte siano sacrosante le sanzioni, dall’altra sia opportuno non “ghettizzare” un atleta che sbaglia: sono umani anche loro, e come tali possono incappare in un incidente di percorso. Secondo Beghin è necessario che le istituzioni affianchino alle inevitabili squalifiche anche dei percorsi riabilitativi, perché non si trae nessun vantaggio nell’ “uccidere” sportivamente ed emotivamente una persona.

 

 

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Redazione

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