Rugby

Crisi Borse – RBS tira il freno nel rugby

Riportiamo e pubblichiamo un articolo pubblicato su LASTAMPA.IT sulla crisi dei mercati internazionali. 
RBS in picchiata: il rinnovo della sponsorizzazione col Sei Nazioni è difficile
La General Motors è in ristrettezze, e ha già deciso di tagliare gli spot nella finale del prossimo SuperBowl, la festa del football americano. Tamburi lontani? No, perché lo sprofondo dell’economia mondiale rischia ora di toccare anche la palla ovale originaria, quella europea. La Royal Bank of Scotland, sponsor principale del SeiNazioni di rugby, è in crisi nera e potrebbe decidere di non rinnovare il contratto da 5 milioni di euro all’anno che scadrà con la prossima edizione del torneo, in calendario da febbraio a marzo 2009.

Il colosso britannico martedì scorso ha avuto una flessione del 40 per cento sul mercato, con le azioni che sono scese a 90 pence, e il suo direttore esecutivo Fred Goodwin si è precipitato con i suoi colleghi di British Bank, Barclays e Lloyd TSB nell’ufficio del ministro delle finanze Alistair Darling, chiedendo che il governo siringhi 50 miliardi di sterline per rivitalizzare il mercato. Mister Goodwin (4 milioni di sterline di stipendio, l’anno scorso) rischia il posto, il rugby continentale un rimensionamento di dimensioni ancora difficili da valutare.

Edimburgo per ora non ha voluto commentare le voci sul possibile disimpegno, mentre David Pickering, il presidente del comitato del Sei Nazioni, ha tentato di abbozzare: «Abbiamo già discusso la questione con la RBS – ha dichiarato -. Ma questo non è il momento giusto per dire nulla di definitivo sulla questione. Sono tempi duri per tutti, neppure lo sport è immune dalla crisi. Ma il nostro è un prodotto forte e siamo sicuri di poter trovare comunque buoni accordi commerciali per venderlo». Un’uscita che suona tanto come una buonuscita. Il Sei Nazioni in effetti è una ricca cassaforte per le "union" che lo giocano, per le nazioni che lo ospitano e di conseguenza per tutto il rugby continentale. L’anno scorso il torneo a squadre più antico d’Europa (1883) ha distribuito circa 70 milioni di euro alle federazioni ovali di Inghilterra, Francia, Scozia, Galles, Irlanda e Italia, con quote diverse (all’Italia ne sono toccati circa 10) e creato un indotto di 520 milioni di euro nelle sedi di gioco. Un business ghiotto, sostenuto principalmente dai diritti televisivi.

Il disimpegno della RBS in sé non sarebbe drammatico, ma in un periodo di panico finanziario generalizzato potrebbe convincere ad esempio la BBC a rinegoziare verso il basso il suo contratto. «Una delle forze del rugby», ha scritto Brendan Gallagher, analista sportivo del Daily Telegraph, «è l’ampia gamma dei suoi sponsor». Il problema è che l’esplodere del professionismo ha gonfiato anche i costi. Persino la Nzru, la federazione neozelandese, quella degli All Blacks per intenderci, ha i conti in rosso. Il ricchissimo rugby inglese ha chiuso accordi importanti con Nike, O2, Hilton, Gatorade e Bank of America, ma le basi tradizionali della palla ovale non sono sufficienti a garantire un futuro da sport globalizzato. Che ironia, se a provocare lo sboom fossero proprio quei "tirchi" degli scozzesi.

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Marcel Vulpis

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