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Calcio e cinema: un binomio vincente per chi l’ha sperimentato

L’estrema mediaticità del calcio, a sua volta, si è trasformata in un acceleratore di business extra-calcistici, come, per esempio, il settore del cinema. 

Questa premessa è d’obbligo per comprendere le ragioni imprenditoriali/economiche, che hanno spinto personaggi del calibro di Silvio Berlusconi (Ac Milan) o Aurelio De Laurentiis (Ssc Napoli – nella foto in homepage) a tentare una osmosi tra mondi paralleli come cinema/tv e calcio. L’ultimo, in ordine di tempo, ad essere sbarcato nella serie A, è Massimo Ferrero, patron dell’Uc Sampdoria. Ormai, vero e proprio personaggio mediatico, sull’onda di una popolarità improvvisa e, per certi versi, inaspettata. 

Berlusconi: comprò il Milan solo dopo averci provato con l’Inter

Chi pensa che Silvio Berlusconi, fondatore dell’impero Fininvest (con il brand Canale 5 ad averlo reso popolare al pubblico degli italiani), e con interessi nel mondo cinematografico (attraverso Medusa film, dal ’95 gruppo Mediaset) smaniasse per acquisire, nel lontano 1986, il Milan, si sbaglia di grosso. E’ l’esatto contrario. Nell’estate del 1984 si era avvicinato all’allora presidente dell’Inter (Ivanoe Fraizzoli), ma le lungaggini della trattativa lo portarono a recedere e a puntare sull’altra sponda della città: quella rossonera. E a chi chiedeva cosa ne pensasse del club rossonero rispondeva: “Purtroppo non posso, il mio mago mi ha detto che mi porterebbe sfortuna”. Il mago (conosciuto come tale signor Moro) gli aveva assicurato, in qualità di chiaroveggente di fiducia, che portasse “iella”. Guai quindi ad acquistarlo.

Il 30 ottobre del 1985 il “Corriere dello Sport” pubblica, però, uno scoop nella direzione opposta: il gruppo Fininvest di Silvio Berlusconi ha comprato il Milan calcio, e precisa anche il prezzo: 24 miliardi di lire, con un pagamento in quattro rate. Lo stesso giorno, con un comunicato ufficiale, la Fininvest dichiara alle principali agenzie stampa che non è vero e afferma la propria “totale estraneità alle trattative per l’acquisto della squadra milanese”. Chiaramente, al di là del gioco delle parti, il tempo (già nel 1986) dimostrerà l’esatto contrario. Il core-business televisivo del Cavaliere è stato preponderante rispetto agli interessi nel pianeta cinema e questo ha determinato la crescita esponenziale dei diritti tv legati al calcio, passando (se si ragiona in termini più macro), nel tempo, dalla piattaforma monopolista della Rai ad un calcio ormai “spezzatino”, sia in termini di orario (si gioca dal venerdì pomeriggio al lunedì sera) che di piattaforme di fruizione (inclusi i diritti venduti su internet e sulla telefonia mobile). 

Berlusconi ha introdotto, tra l’altro, un principio base oggi comunemente accettato da tutti gli altri presidenti di serie A: il mondo del calcio è un immenso bacino, ogni tifoso è un potenziale consumatore e ogni consumatore è un potenziale cliente tv. La sua strategia di azione, quindi, non è stata un atto di generosità, bensì di pura intelligenza. 

Stride sicuramente il fatto di non aver “industrializzato” la produzione cinematografica gravitante nell’orbita Fininvest nel mondo del calcio. 

Per Berlusconi la forza e l’influenza della tv è stata sempre superiore a qualsiasi altro business collegato all’impero Fininvest. 

Soprattutto Berlusconi ha utilizzato il calcio come veicolo di voti tant’è che, in occasione di ogni tornata elettorale, il presidente del Milan, ma anche di Forza Italia, ha acquistato i cosiddetti top player. Un caso? Non lo crediamo, sinceramente. Una riedizione, ai giorni nostri del motto latino “Panem et Circenses”. 

De Laurentiis: dal calcio al cine-panettone

Completamente differente l’approccio messo in campo da Aurelio De Laurentiis, nato e cresciuto, sin da giovane, a pane e cinema, che ha compreso, sin dall’inizio della sua avventura calcistica, a sostegno delle sorti del Napoli (finito in serie C nell’autunno 2006), le potenzialità dell’abbinamento di questi due mondi paralleli. 

Il patron campano ha intuito che il calcio poteva essere utilizzato come un “media” alla pari di altri mezzi tradizionali (come la tv, la radio, le affissioni, o anche lo stesso web), per promuovere a far spingere i ricavi dei prodotti cinematografici prodotti e distribuiti dalla sua FilmAuro. Il peso del calcio all’interno degli affari di De Laurentiis è cresciuto gradualmente, di stagione in stagione, fino ad arrivare anche a picchi dell’80 per cento sul totale dei ricavi. Un dato quest’ultimo, che, abbinato agli otto bilanci in utili consecutivi, fa capire come il pallone a spicchi sia un “driver” eccezionale per produrre utili sia di gruppo, sia in ambito cinematografico, dove i cine-panettoni natalizi ed estivi sono stati spinti all’interno dello stadio San Paolo o in crociera con i tifosi, attraverso azioni di co-marketing insieme alle aziende sponsor degli azzurri. 

Marketing ovunque, dal calcio al cinema, arrivando anche, per primo in Italia, ad acquisire in blocco i diritti di immagine di tutti i calciatori della rosa, utilizzati, di volta in volta, per la promozione di un profumo, ma anche del film di cartello a marchio FilmAuro. Quest’anno il cine-panottone doc, come lo definisce lo stesso De Laurentiis, è “Un Natale stupefacente”, con Lillo e Greg nel cast e una distribuzione capillare in ben 650 sale. Certo se si pensa che questa forma di cinema ha ormai 31 anni di vita, c’è da immaginare che anche il Napoli calcio sia destinato ad un futuro altrettanto luminoso, dove gli incassi delle sale cinematografiche faranno rima con quelli che arrivano ogni domenica dallo stadio San Paolo. Alla fine, sia che si tratti di cinema o di calcio, a vendere ci pensa sempre il marketing, territorio dominato sapientemente dal produttore campano. E la vittoria a Doha, in terra qatariota, di Higuain e compagni sulla Juventus, nella Supercoppa di Lega, ha spinto emotivamente le vendite dei suoi film, anche perché il tifoso del Napoli si identifica con la squadra di De Laurentiis, ma anche con tutte le declinazioni cinematografiche del suo patron. 

Ferrero: dal cameo di Ultrà alla presidenza della Samp

Che avesse nelle vene la passione per il cinema era noto a tutti. Più difficile immaginare, nel lontano 1991, che, lo sconosciuto (almeno a quei tempi) Massimo Ferrero, dopo aver partecipato con un piccolo “cameo” (recitava il ruolo di super tifoso della Roma) nel film Ultrà di Ricky Tognazzi, sarebbe diventato prima direttore di produzione, e da lì una rapida ascesa fino ad acquisire una trentina di importanti sale romane (attraverso la Ferrero cinemas group), dopo il fallimento dell’impero Cecchi Gori. Ancora più difficile prevedere che la famiglia Garrone (con interessi nel settore degli idrocarburi) l’avrebbe scelto come ideale presidente della Sampdoria, uno dei club di calcio più amati della penisola. 

Chi, inoltre, prevedeva una sua rapida caduta, una volta entrato nel salotto buono del calcio, è rimasto (almeno per adesso) fortemente deluso. 

Ferrero, da esperto uomo di cinema e di vita (forti le sue radici testaccine), ha capito immediatamente i meccanismi mediatici di questo Circo e si è ritagliato un posizionamento distintivo. Nel giro di poche settimane, divertendosi anche a fare il simpatico ad ogni costo (con occhi sgranati davanti alle domande dei giornalisti o partecipando ad interviste con occhialoni da sole in stile James Belushi), è entrato negli interessi artistici di un comico del calibro di Maurizio Crozza (ironia della sorte anch’egli genovese), dove è difficile capire talvolta se il personaggio Ferrero sia realtà o pura fantasia. Qualche “svarione” etico/mediatico, comunque, il patron della Samp l’ha commesso, non a caso, infatti, si è preso una accusa di razzismo (dallo stesso prontamente ricusata) per le battute sul “filippino” incautamente rivolte a Thohir, neo presidente indonesiano dell’Inter. Comunque è, ormai, uno dei “personaggi” più popolari della serie A, forse anche troppo, per certi versi.

Nel frattempo, i risultati della squadra sono dalla sua parte. La Samp gioca bene, ha centrato più volte il terzo posto (anche in solitario) e adesso i doriani sognano, grazie anche al loro nuovo presidente, la Champions. L’amore di Ferrero  per il cinema è talmente forte, che, pur in assenza di un main sponsor di maglia, ha chiuso un accordo, per alcune giornate di campionato, con la Buena Vista International, che ha apposto sulle divise di gara di Gabbiadini e compagni il logo del secondo capitolo della saga di Sin City. Non ha l’aplomb di un presidente come Andrea Agnelli (Juventus), ma ha dimostrato, già in questi primi mesi di attività calcistica, di saperci fare e di avere un grande fiuto per gli affari. 

BOX

L’ascesa e discesa rapida di Vittorio Cecchi Gori.

Con il calcio ci si può anche rovinare. E’ la sintesi della storia imprenditorial-calcistica di Vittorio Cecchi Gori, figlio d’arte del più noto Mario, produttore cinematografico storico, che, inseguendo il sogno di una Fiorentina sempre più forte e in gara con i top club e il nemico storico della Juventus, si è praticamente svenato, arrivando nel periodo 1993-2001 (data del fallimento) a spendere follie per calciatori del livello di Gabriel Batistuta

Un calcio che ha fagocitato velocemente anche molti degli interessi cinematografici di Cecchi Gori, costringendolo a vendere o a liberarsi di diversi asset di famiglia. Ad oltre 10 anni di distanza da quel fallimento, Cecchi Gori ha più volte puntato l’indice su una serie di soggetti che l’avrebbero mal consigliato o perfino tradito (più volte ha, per esempio, dichiarato di essere stato abbandonato, imprenditorialmente parlando, in alcune sue attività cinematografiche dal socio “forte” Silvio Berlusconi) prima del crac Fiorentina (rinata dalle ceneri dopo l’intervento di salvataggio della famiglia Della Valle), suo grande amore alla pari del cinema e delle belle donne. E nel destino di Vittorio Cecchi Gori è passato anche lo stesso Massimo Ferrero, che ha acquisito diverse sale cinematografiche un tempo dell’imprenditore fiorentino. Una storia velata da una infinita tristezza per il finale doloroso, ma anche di monito per chi crede che il calcio sia un affare capace di produrre solo utili. Nella realtà è proprio l’esatto contrario. Purtroppo. 

Calcio e cinema, due forme diverse di “entertainment”, che si sono spesso incrociate, dagli anni ’80 ad oggi, nel destino di alcuni importanti imprenditori italiani. Presidenti, per caso o per scelta strategica, che hanno scelto il mondo del pallone per fare business (non solo in ambito sportivo) e crescere in popolarità. 

Gli affari calcistici sono finiti anche all’interno dei loro gruppi imprenditoriali, con una serie di vantaggi fiscali, soprattutto nel gioco delle plus-minusvalenze applicate ai cartellini dei giocatori, di cui hanno beneficiato negli anni d’oro del football tricolore. Oggi un po’ meno, visti i tempi di crisi. Lo rivela in un interessante servizio giornalistico questo mese il periodico milanese “Business People”. 

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Marcel Vulpis

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