Il congedo di Papa Francesco.

(di Carmelo Pennisi)* – Nel giorno dell’Immacolata Concezione del 1946, il San Lorenzo de Almagro (attualmente terzo nel gruppo B della primera division argentina, nda) nell’Estadio Gasometro di Buenos Aires, la sua “casa”, torna a vincere il campionato argentino dopo dieci anni.
Jorge Mario Bergoglio, futuro Pontefice della Chiesa Cattolica, è lì a festeggiare insieme al padre ferroviere e ancora non sa che, in seguito, avrebbe avuto la tessera n° 88.235 di socio di un club voluto con determinazione da un sacerdote salesiano, don Lorenzo Massa, e non sa nemmeno come quel luogo di felicità della sua infanzia verrà demolito nel 1979, per volere della dittatura militare.
Il “Gasometro” era divenuto il ritrovo delle “Madres del Playa de Mayo”, che volevano disperatamente giustizia per i loro congiunti “desaparecidos”. Dal suo esilio parigino Osvaldo Soriano, il più grande giornalista sportivo mai nato in terra “gaucha”, piange per quel luogo sacro che preso verrà occupato da un ipermercato “Carrefour”: “il Gasometro è un ferro imbullonato al mio cuore di bambino”.
C’è tutto il dramma e la psicologia non solo di Papa Francesco ma di tutta l’Argentina, in questo avvenimento. Il rimpianto di una storia che avrebbe potuto essere diversa, certamente più solare e meno complicata di come poi si è dipanata fino ai giorni nostri. C’è Evita Peron, c’è la suggestione sempre presente di Ernesto “Che” Guevara, ci sono i “descamisados, e c’è “La Mano di Dio”, nella partita di calcio più controversa e misteriosa della storia dei mondiali, di Diego Armando Maradona.
Tutto è “peronismo” e voglia di riscatto nell’animo di un popolo che vede le elite e le oligarchie come demoni che nascondono, dopo averlo derubato, un paradiso a cui tutti avrebbero diritto. Non si capisce Jorge Mario Bergoglio, e nemmeno il suo a tratti indecifrabile pontificato, se con l’immaginazione e il cuore non si entra nelle scarpe dell’anima degli argentini. Essi si sentono costantemente privati della felicità e della giustizia, ed è per questo che l’allora Arcivescovo Jorge Mario Bergoglio, in occasione del trentennale conflitto della Malvinas/Falkland, tuona dal sagrato della cattedrale metropolitana di Buenos Aires, dedicata alla Santissima Trinità: “siamo qui per pregare per tutti quelli che sono caduti, figli della patria che sono andati a difendere le loro madri, per reclamare ciò che era loro, parte della patria, che è stata usurpata”.
Mancano pochi mesi alla sua elezione a 266esimo Pontefice della Chiesa Cattolica, e sarà il “The Sun”, il giorno dopo la fumata bianca, a fare il titolo più velenoso, evidenziandolo su una foto di Bergoglio con la mano alzata a salutare la folla accorsa ad acclamarlo in Piazza San Pietro sulla fine di una serata romana: “Hand Of God”. Gli inglesi, nel momento della sua salita al Soglio Pontificio, non dimenticano quel gol di mano stanziato nella storia cruciale della loro cultura sportiva come un punteruolo conficcato nel cuore a procurare eterno dolore. El Pibe de Oro li gabba con furbizia e maestria senza pari, e subito dopo corre verso la bandierina del calcio d’angolo indicando ostentatamente con le dita verso l’alto il cielo. In seguito spiegherà che quel gesto era per le vittime dei marinai della “General Belgrano” e per contestare il ratto britannico della Malvinas davanti al mondo.
La stampa inglese, vedendolo incoronato come una delle massime autorità spirituali del globo, si chiede come quell’uomo possa ignorare il settimo comandamento, quel non rubare che prima la giunta militare prova ad ignorare, fallendo, invadendo le Falkland, e poi invece riesce a Maradona nei quarti di finale mondiali di Città del Messico. Ma ciò che per gli inglesi è rubare, in questo caso per gli argentini, e quindi anche per Bergoglio, è rincorrere la virtù morale della giustizia. “Tutto il progresso del mondo non vale il pianto di una creatura affamata”, sono state tra le sue prime dichiarazioni da Pontefice (e altre con simili toni spesso indignati seguiranno), facendo venire su tutta la voglia di “Teologia della Liberazione” presente nel suo immaginario da latinoamericano. Ma poi, innestando una marcia indietro con la lucidità del pastore di anime, Papa Francesco, e il gesuita prima, riusciva a mitigare quella stizza da intolleranza da ingiustizia da cui a tratti era pervaso.
E allora si allontanava dalla prospettiva troppo ideologizzata di una teologia divenuta quasi una prospettiva da ermeneutica marxista, causa di un “riduzionismo socializzante”, e recuperava il primato della fede, che accetta la Croce ma non dimentica le ragioni del dolore. “Dio va contemplato- scrive Bergoglio da Vescovo- con gli occhi della fede attraverso la sua Parola rivelata e il contatto vivificante con i Sacramenti, cosicché nella vita quotidiana possiamo vedere la realtà che ci circonda alla luce della sua Provvidenza… si semina su questa terra e si da pienamente frutto in cielo”.
Papa Francesco è stato un danzare su un filo teso tra cielo e terra, cercando, non sempre riuscendoci, di tenersi lontano da quel senso di vuoto atavico provato costantemente dagli argentini a causa dell’ingiustizia. Per questo, forse, non è mai voluto andare a visitare da Successore di Pietro la sua terra. Probabilmente non voleva lasciarsi sopraffare dal desiderio di voler mostrare voglia di riscatto, poiché altre erano le responsabilità calate sulle sue spalle dopo quella prima uscita vestito di bianco dal balcone su Piazza San Pietro. Verrà il tempo per una riflessione approfondita di un pontificato così complesso e atipico(basti ricordare che è venuto dopo la rinuncia clamorosa di Benedetto XVI), ma in questa giornata non sarebbe male ricordarlo mentre, con altri avventori, tra le corsie degli scaffali dell’Ipermercato Carrefour ricordava che lì si erano svolti i più bei momenti del suo San Lorenzo.
“Siete parte della mia identità culturale”, disse ai rappresentanti del club del suo cuore in visita in Vaticano nel 2014. Lo sport, da lui tanto amato, fa sempre ritornare alle cose buone, alla sospensione per un attimo del dolore. Ripercorrendo molte delle sue parole, forse era provare questa empatia la sua più grande ambizione. Avrebbe voluto le persone il più possibile felici, curate nell’anima.
Sapeva che era troppo, ma se c’è una cosa su cui proprio non puoi fermare gli argentini è la loro ambizione. Evita, il “Che” e soprattutto il tango, ne sono la più plastica delle rappresentazioni. Era un argentino e non un europeo, e questo molti di noi non l’hanno mai capito: passare per la cruna di un ago per lui era un imperativo categorico. Ed è questo, a mio parere, il suo più grande lascito. Ci sarà tempo per capirlo.
Nel frattempo questa mattina il club argentino “San Lorenzo” ha pubblicato sull’home del sito ufficiale l’immagine di Papa Bergoglio con una semplice scritta: “Hasta Siempre, Santo Padre” (nella foto in primo piano lo screenshot).
- sceneggiatore, giornalista sportivo e tifoso granata – nel 2005 con regia di Giacomo Battiato è stato lo sceneggiatore del film “Karol – Un Uomo diventato Papa” (trasmesso su Mediaset).
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