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Il caso Catalunya finisce al Parlamento Europeo

Carles Puigdemont è giunto a Bruxelles da cittadino europeo, nel cuore dell’Europa. In quanto tale, gode di tutte le nostre libertà e garanzie, può viaggiare come e dove crede. Non è un perseguitato politico. Non vive in dittature come la Corea del Nord o il Venezuela. Bensì viene da una grande democrazia, quale è quella spagnola“. Parla così il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani in un’intervista al Corriere della Sera. “Però – aggiunge – ha violato sia le leggi catalane che quelle spagnole, ha violato la Costituzione di un Paese democratico che fa parte dell’Unione europea. Stiamo a vedere, non sappiamo con precisione cosa Puigdemont intenda fare. In ogni caso, restasse o optasse per il Belgio, toccherà a Bruxelles valutare la sua situazione”. Tajani non ritiene giusto un intervento delle istituzioni europee: “Se cresce un motivo di scontro tra Luca Zaia e il governo Gentiloni, oppure tra la Borgogna e Parigi, non sarebbe certo compito dell’Europa cercare di risolverlo. Si tratterebbe di affari interni italiani o francesi”. E vede nella mossa di Madrid di indire subito nuove elezioni in Catalogna “un’ottima scelta, giusta e democratica. Lo stesso Puigdemont, se non verra’ arrestato prima, ha in via di principio la liberta’ di candidarsi”. Anche se, secondo Tajani, non avrebbe possibilità di successo: “Lo abbiamo visto gia’ ai risultati del referendum illegale, che non sono stati tanto buoni per gli indipendentisti. Al prossimo appuntamento potrebbero prendere meno del 36% dei voti“.

In Catalogna l’indipendentismo, che agli inizi dei governi Rajoy sei anni fa, era al 15% è arrivato ora al 48% e nelle elezioni del 21 dicembre potrebbero riprendere la maggioranza dei seggi nel Parlament. In più l’accusa di “Ribellione e sedizione” implica, da codice penale spagnolo, l’uso della violenza, che nell’indipendentismo catalano non c’è mai stata, essendo un movimento totalmente pacifico. Vi sono costituzionalisti che considerano aberrante, dal punto di vista giuridico, una tale accusa, un vero processo alle idee, inammissimible nellì’Unione Europea. Di errori qui ce ne sono due, quelli di Puigdemont e quelli di Rajoy, che hanno scelto lo scontro muro contro muro invece del dialogo. Come in Scozia o Quebec, basterebbe organizzare un referendum legale e garantito, dove vincerebbe il No all’indipendenza diciamo per 52% a 48% o giù di lì. Ma questo Madrid non lo vuole. L’Estatut della Catalogna raggiunto da Zapatero e la Generalitat nel 2006, che aveva impedito le pulsioni secessionistiche, è stato annullato dal Tribunal Supremo (la Corte Costituzionale spagnola) su pressioni del PP, aprendo la via alla crescita dell’Indipendentismo. Conosco molti catalani che vorrebbero avere la libertà di votare NO all’indipendenza, ma appunto la libertà di poterlo fare. La riforma della Costituzione spagnola del 1978, nata dalle esigenze della Transizione e dai compromessi con il franchismo residuo, è il vero tema che a Madrid dovrebbero avere il coraggio di affrontare. La Spagna, a differenza dell’Italia, è uno stato plurinazionale (Catalogna, Euzkadi e Galicia sono di fatto nazioni all’interno dello Stato spagnolo) e una riforma federalista è indispensabile. Il PSOE, per appoggiare l’art.155, ha fatto un patto sull’apertura di un processo in tal senso, vedremo se sarà davvero così. I sondaggi per il 21 dicembre di ieri danno l’indipendentismo ancora maggioranza di seggi nel Parlament e al 49% dei voti – commenta il giornalista Michele Tognozzi, riguardo al “caso Catalunya“, scoppiato ancor prima della dichiarazione di Indipendenza.

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