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Nicola Pongetti (VP SG Plus) – Marketing e Covid-19: fare marketing oggi e la crescita della responsabilità sociale

(di Alberto Morici) – Lo sport in tempi di Covid-19 ha portato i fans, i fruitori finali della pratica sportiva, a vivere la propria passione/attività (soprattutto all’aria aperta), con modalità differenti rispetto al recente passato. Nascono così una serie di opportunità sul terreno della progettualità e della “Corporate Social Responsability” (in diversi ambiti di applicazione).

Ne abbiamo parlato con Nicola Pongetti (nella foto in primo piano), vicepresidente di SG Plus, una delle più importanti strutture di advisoring in ambito sportivo presenti sul mercato italiano (fondata da Roberto Ghiretti, attuale presidente della struttura nazionale di advisoring).

D: Come stanno cambiando le strategie di marketing delle aziende sportive in tempi di Covid-19?

R: Ovviamente questa pandemia, che sta durando da oltre un anno (proprio lo scorso 21 febbraio sono trascorsi 12 mesi dal lockdown, nda), potrebbe proseguire anche per i prossimi 6 mesi. Fino all’estate infatti potremmo essere costretti a convivere con questa situazione di incertezza. Certamente le aziende che investono nello sport si trovano a dover fare delle scelte diffiicili in una fase di emergenza da saper gestire per la specificità del virus. L’incertezza di non sapere cosa può succedere in un prossimo futuro è un ulteriore elemento di criticità. Un altro problema che rende difficile prendere decisioni dipende inoltre da come il mondo sportivo si è posto di fronte alla gestione della pandemia. 

Il logo di SG+

D: Ci può spiegare meglio questo concetto

R: Abbiamo assistito ad una gestione sicuramente non sempre lineare. I primi mesi sono stati molto duri per diversi comparti, ma bisogna riconoscere che lo sport non è stato in grado di mettere sul piatto soluzioni, progetti, iniziative, attività, che, in qualche modo, potessero invogliare le aziende ad investire o, comunque, a restare nell’ecosistema sportivo. Abbiamo invece assistito ad una continua ed estenuante trattativa al ribasso nel segmento delle sponsorizzazioni. 

Nella 2a fase il mercato dello sport non è stato in grado di presentare delle offerte alternative, che invece esistevano e potevano essere proposte. Era un momento per fare un passo più deciso in avanti nel mondo del digital e dei social media. Il concetto è che la passione dei fan non si ferma mai davanti a nulla (al netto della pratica attiva o della possibilità di seguire dal vivo le gare). C’era tutto un mondo straordinario, come quello delle opportunità “social” che poteva essere sfruttato in modo migliore. C’è chi ha pensato ad un modello versione di fruizione, come le virtual race o nelle gran fondo virtuali. 

D: Lo sport ha saputo interpretare questo cambiamento epocale?

Lo sport doveva rilanciare le proprie attività, passando da attività fisiche a situazioni assolutamente virtuali. Anche il mondo della responsabilità sociale e ambientale poteva essere cavalcato in modo più intelligente. Insomma sono state lasciate sul terreno una serie di opportunità importanti. Bisognava lavorare di più per switchare di più da diritti fisici a virtuali, anche se ci sono stati sicuramente dei casi virtuosi anche nel mondo del calcio (ad esempio l’FC Inter, da questo punto di vista, è stata molto attiva). La classica attività di “bambini in campo” (le cosiddette “mascotte” che accompagnano i giocatori) è stato declinato in una video-call per una serie di giovani nerazzurri estratti a sorte all’interno della fanbase con la possibilità di poter fare delle domande ai propri beniamini. Le Zebre Rugby (franchigia federale militante nel Pro14) hanno fornito un servizio attraverso il quale lo staff tecnico del club insegnava e aiutava i manager in smart working ad allenarsi in casa (o a tenersi forma) durante il lockdown.

In sintesi, proprio in momenti difficili, la creatività è tutto se parliamo di marketing sportivo. In più le aziende che hanno continuato a investire in comunicazione, hanno utilizzato maggiormente la figura del cosiddetto “testimonial”. Non avendo più l’evento fisico ci si è trasferiti sul “personaggio”, potendolo utilizzare in comunicazione sui social  e/o su mezzi di comunicazione tradizionali. Si poteva ad esempio investire di più sul ruolo dei team nazionali, al di là degli sport di riferimento.

Il vero problema del marketing in Italia è che si arriva a pensare che non si possa fare dei cambiamenti (piccoli o grandi). E’ un problema per certi versi culturale. Spesso la “pigrizia” è il punto di debolezza dello sport tricolore, mentre bisognerebbe puntare sulla creatività e sull’innovazione. 

D: Proprio l’emergenza sanitaria può accelerare lo sviluppo di attività in ambito di responsabilità sociale?

R: La responsabilità sociale è un elemento fondamentale in qualsiasi azienda, al di là della dimensione economica ed organizzativa (dalle piccole realtà fino alle multinazionali)  Molte aziende ormai hanno un budget specifico, una mission e un codice etico da applicare negli ambiti di applicazioni. Lo sport l’ha capito, ma è ancora molto indietro in termini di capacità progettuale. I progetti in questo settore sono molto limitati e direi che sono limitati solo su 2-3 macro tematiche: ad esempio su disabilità, green ed economia circolare. 

Un altro tema che lo sport dovrebbe far suo è quello della “riqualificazione urbana” soprattutto in tema di spazi sportivi.

Ad esempio c’è da fare un grande lavoro da fare se parliamo o pensiamo alle periferie delle aree metropolitane. Temi su cui realtà sportive e federazioni dovrebbero investire molto di più rispetto al passato. In positivo la Federginnastica sta lavorando come progettualità ad una idea di collegamento e diffusione della pratica del “parkour” (disciplina sportiva nata in Francia a partire dalla metà degli anni ‘80) in diversi centri urbani, proprio per sviluppare un nuovo modo di fare pratica e di attività sportiva (andando incontro alle esigenze e alle tendenze in atto nel mondo dei giovani).

Ha in mente di realizzare delle strutture molto snelle per arrivare alla creazione di veri e propri parkour park in linea con la dimensione territoriale del luogo dove verrebbero realizzati. Comunque sta cambiando fortemente il modello di fruizione dello sport, sia quella “passiva” (l’audience degli eventi seguiti in tv è in discesa) mentre sta crescendo la fruizione dello sport a livello web, social. Dall’altra parte c’è il tema della fruizione attiva dello sport. Sempre meno i ragazzi si approcciano agli sport tradizionali, preferendo modalità, luoghi, tempi, e attività nuovi, con stili prevalentemente “urban”.

Si passerà da strutture verticali a modalità destrutturate (lasciate alla libertà individuali delle persone). Stanno fiorendo sport ed eventi (ad esempio le Spartan Race, ecc.), che, fino a 10 anni, fa era difficile persino immaginare. Proprio tornando al tema del parkour, ci troviamo di fronte ad una delle discipline sportive emergenti più interessanti. Proprio quest’anno erano in programma i mondiali di specialità, e il Covid-19 ha fermato l’organizzazione di questo maxi evento. Ma già a Parigi2024 sarà disciplina olimpica “dimostrativa”. Un segnale molto forte del cambiamento in atto nel mercato degli sport. 

D: Post Covid come “supporterete” sponsor e rights holders nel nuovo panorama dello sport italiano?

R: Secondo me questo periodo è straordinariamente positivo per intraprendere dei percorsi di sponsorship. Il Covid-19 ci ha portato a vedere lo sport e a fruire dello stesso uscendo dai luoghi tradizionali, come, ad esempio, gli impianti sportivi. Si sono moltiplicate diverse tipologie di progettualità, che, le realtà impegnate in questo “sistema”, devono essere sempre più in grado di declinare e realizzare. Più in generale, però, non esiste sport senza pubblico e il valore del “ticketing” sarà sempre fondamentale e anzi, nelle politiche dei club, dovrebbe prendere più forza. Ma il Covid-19 ci ha insegnato che esistono anche altre modalità di sfruttamento del match event (sia prima che dopo) e su questo gli addetti ai lavori dovranno lavorare nei prossimi anni. Il momento della partita diventa per certi versi un piccolo momento di come il tifoso vive l’evento collegato alla squadra del cuore. Sempre nel futuro gli sport makers potranno lanciare delle “Call To Action” (CTA) anche attraverso gli accordi di sponsorizzazione per vivere l’evento in maniera diverso rispetto al passato. 

D: Quali sono i principali progetti di SGPlus attivati nel settore della responsabilità sociale?

R: Ne facciamo tanti come struttura su base annua, sviluppando soprattutto temi come la responsabilità ambientale, il green e l’economia circolare.
L’altro tema su cui puntiamo è quello della riqualificazione urbana. Per certi versi anche più complesso per il suo impatto sui diversi territori, ma è un tema che ci sta a cuore perchè tocca la pratica quotidiana delle persone. 

Responsabilità sociale collegata all’ambiente SG Plus ci sta investendo sicuramente molto. Lavoreremo su un paio di progetti in ambito scolastico, su due livelli (primaria e secondaria) e su un team congiunto di atleti e ricercatori. Sport e Scienza che, per la prima volta, si uniscono per sensibilizzare i giovani su diversi temi (coinvolgendo anche le famiglie). Messaggi “alti”, ma declinati anche attraverso piccoli gesti (come ripulire la palestra della scuola) per muovere e sollecitare la coscienza delle persone. 

 

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